Francesca Rossi: «L'intelligenza artificiale è materia per le ragazze ma devono crederci di più»

Francesca Rossi
di Maria Lombardi
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Venerdì 4 Ottobre 2019, 17:50 - Ultimo aggiornamento: 5 Ottobre, 15:04

La giornata comincia con Spock, l'assistente digitale personale, che dà la sveglia nel momento migliore, controlla il colesterolo, prepara la colazione, segnala notizie, si informa di come stanno parenti e amici, prenota la capsula volante. E finisce sempre con Spock (e il cagnolino robot) che sceglie il rumore delle onde per conciliare il sonno. Tutto è governato dalle macchine in questo futuro non si sa quanto lontano, gli umani fanno ben poco. «Ci possiamo fidare dell'intelligenza artificiale?», si chiede Francesca Rossi, scienziata di fama internazionale, sulla copertina del suo libro appena pubblicato con Feltrinelli “Il confine del futuro”. La risposta è sì, a patto che le macchine non abbiano pregiudizi di genere e razza e siano etiche. Più donne lavoreranno nell'IA, più i robot saranno giusti.

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Docente di Computer Science all'università di Padova, presidentessa dell'International Joint Conference on Artificial Intelligence, a capo della commissione etica dell'Association for the Advancement of Artificial Intelligence.  É stato difficile emergere in un campo così "maschile"?
«Penso di essere stata fortunata. Non ho ricordi di situazioni in cui ho avuto la percezione di essere discriminata in quanto donna. Il professore che mi ha seguito per la mia tesi di laurea e poi anche per il mio dottorato di ricerca, Ugo Montanari, è un esempio assoluto di rigore, dedizione, e imparzialità.  Lo stesso all’università di Padova, dove ho passato 20 anni come professore associato e poi ordinario. Però è vero che nei numerosi corsi che ho insegnato nel corso della mia carriera accademica le donne erano sempre molto poche, anche se solitamente molto brave».

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Cosa è cambiato rispetto ad allora?
«Le donne sono ancora poche, meno del 20% sia in ambito universitario che nelle aziende. Ma vedo molte iniziative per supportare e facilitare la partecipazione e la carriera di donne. Ad esempio, all’IBM ci sono programmi come Tech-Reentry, che aiutano le donne a rientrare nel mondo del lavoro dopo un periodo di pausa, tramite una fase di retraining su aspetti tecnologici, o il programma Elevate, che aiuta le donne che già lavorano nell’azienda a progredire nella loro carriera».

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Cosa si può fare, secondo lei, per avvicinare sempre più ragazze a questo genere di studi?

«Le ragazze sono molto adatte allo studio dell’IA, che è una disciplina creativa e sempre più aperta ad altre discipline più umanistiche. Sono necessarie iniziative a livello di scuola superiore, di scuola media che facciano capire la vera natura di questa disciplina, tramite un linguaggio adatto a queste ragazze. La mia esperienza di 25 anni di insegnamento a livello universitario mi ha dimostrato che le ragazze sono molto brave. Devono solo crederci e convincersi che possono riuscire nello studio di una materia scientifica entusiasmante e creativa che permette di costruire tecnologie innovative e pervasive nella nostra vita»
L'Intelligenza artificiale, scrive lei nel suo libro, ha dei pregiudizi di genere e di razza.

«Le persone hanno più di 180 tipi di pregiudizi nel prendere decisioni. Dato che l’IA viene progettata e creata da persone, è possibile che tali pregiudizi siano inseriti nel progetto e sviluppo di un sistema di IA, anche involontariamente. In particolare, usando tecniche di machine learning, che hanno bisogno di tantissimi esempi da cui la macchina apprende e generalizza, è necessario essere particolarmente attenti a non fornire esempi che contengono correlazioni tra decisioni e variabili come genere o razza che possono portare ad un comportamento discriminatorio. Fortunatamente esistono già molti metodi per individuare e mitigare i pregiudizi nei dati di training per le tecniche di machine learning»
Quali sono i rischi legati a questi pregiudizi dei robot?

«Il rischio è che tali pregiudizi possano portare a decisioni che discriminano. Ad esempio, se la macchina trova una correlazione statistica tra il genere o la razza di una persona e una decisione, è possibile che tale decisione sia diversa a seconda della razza o del genere della persona. Questo porterebbe ad una discriminazione».

E che cosa può cambiare se un maggior numero di donne cominceranno a lavorare nel sistema di apprendimento delle macchine?
«Avere dei team di programmatori che includono persone con diverso genere e background può certamente aiutare ad evidenziare i pregiudizi che potrebbero essere inseriti nel progetto e nello sviluppo di un sistema di IA. É anche importante che i programmatori siano educati su questi aspetti e diventino quindi piu’ consapevoli e attenti a non trasferire i loro pregiudizi ai sistemi che creano».
Lei immagina, nel libro, un mondo in cui tutti è robotizzato. Anche il cagnolino è un robot. Quando è lontano questo momento, secondo lei?

«Le tecnologie descritte in quel possibile futuro sono già oggetto di studio o in fase di sviluppo e creazione. Ma questo non vuol dire che siano vicine ad essere disponibili. Perchè una tecnologia si diffonda, la maturazione tecnologica non è sufficiente, serve anche la convenienza economica, una regolamentazione adatta, e l’accettazione delle persone e delle infrastrutture. Ma nel futuro che descrivo non tutto è robotizzato: il mio gatto è reale, ed è già nella mia vita!».
Lei si occupa anche di etica dell'Intelligenza artificiale. Cosa è l'etica per un robot?
«Se vogliamo delegare decisioni alle macchine, dobbiamo essere sicuri che seguano i nostri stessi principi etici e valori morali. Quindi è necessario creare macchine che sappiano individuare i principi etici adatti ad ogni applicazione, e seguirli. L’etica delle macchine riguarda anche il loro uso, che deve essere indirizzato ad un impatto positivo nella nostra vita, e la loro gestione di dati personali, che deve rispettare la privacy e l’autonomia delle persone».

 

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