Campagna per istituire un organismo indipendente dal governo a Palazzo Chigi contro il gender gap

Campagna per istituire un organismo indipendente dal governo a Palazzo Chigi contro il gender gap
di Franca Giansoldati
4 Minuti di Lettura
Giovedì 9 Luglio 2020, 14:28

Per scongiurare una Italia al maschile e togliere a questo Paese l'eterna impronta patriarcale di sottofondo che da sempre impedisce alle italiane di avanzare e abbattere gli ostacoli della discriminazione tra i sessi - nel lavoro, nella società, nella cultura dominante – una ventina di sigle di associazioni femminili hanno diffuso un importante position paper, un documento che analizza il percorso fatto a 25 anni dalla storica conferenza internazionale di Pechino, analizzando settore per settore e isolndo cosa ha funzionato e cosa ancora impedisce un avanzamento alle donne. 

Il post Covid anche nel nostro paese a nudo ha messo a nudo la fragilità di un sistema che tutela ancora poco le donne. Basta pensare che 35 mila di loro sono state costrette a lasciare il proprio lavoro perchè costrette a scegliere tra la famiglia e la professione. 

Il documento delle associazioni femminili, coordinate da Di.re Donne, mette a fuoco il mercato del lavoro, affronta il grande tema sommerso delle molestie, fa affiorare la povertà femminile, la scarsa protezione sociale persino nel settore -ancora tutto da esplorare - della medicina di genere, tocca i Centri antiviolenza, l'accesso alla giustizia, la vittimizzazione secondaria delle donne nei Tribunali civili, la discriminazione e gli stereotipi di genere nei media fino alla scarsa partecipazione alla vita pubblica e ai processi decisionali. Quest'ultimo punto resta una piattaforma programmatica delicata e particolarmente ostacolata a vari livelli.

Per questo viene chiesto che venga istituito un nuovo meccanismo di consultazione e concertazione permanente per la parità presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, indipendente dal Governo e presieduto da una personalità esperta di tematiche di genere, dotato di mezzi finanziari e risorse umane per la realizzazione dei suoi obiettivi, al quale partecipino rappresentanti delle Istituzioni preposte alla parità di genere, del Parlamento, delle organizzazioni femminili maggiormente rappresentative, delle Università e Centri di ricerca, oltre ad esperte/i indipendenti. 

Questo meccanismo – spiegano le associazioni nel documento - dovrebbe promuovere studi, analisi e ricerche, formulare proposte e raccomandazioni, assicurare che venga effettuata la valutazione dell’impatto di genere delle varie leggi e decreti attuativi, lavorare di concerto con la Commissione Inter-ministeriale presso la Presidenza del Consiglio che ha il compito di verificare la realizzazione degli Obiettivi dell’Agenda 2030. 

L’ultimo intervento normativo di introduzione del meccanismo delle quote di genere per superare il persistente gender gap è stata la Legge n. 120/2011 Golfo - Mosca nell’ambito del diritto societario italiano. Le statistiche dimostrano che le norme sono state applicate con successo e hanno permesso un salto nella presenza di donne nei board delle quotate e delle controllate. Senza il meccanismo della Legge Golfo-Mosca la quota femminile sarebbe cresciuta lentamente, per effetto di tendenze demografiche e della maggiore diversità di genere tra le generazioni più giovani. Tuttavia, tali interventi normativi non hanno prodotto l’effetto di trascinamento che ci si attendeva e vanno perciò stabilizzati come criteri strutturali permanenti. 

Anche in ambito elettorale, il sistema delle quote si è rivelato in Italia uno strumento insufficiente a garantire una reale uguaglianza di genere nell’accesso alle cariche politiche. I meccanismi di funzionamento individuati sono stati facilmente aggirati dai partiti in quanto deficitarie di sistemi di cerniera più cogenti. Il rispetto di principi di base (partecipazione, rappresentanza, parità retributiva), quando non garantito da meccanismi sanzionatori, rimane opzione che l’amministratore di turno, quando non direttamente il legislatore o il governante, si sente libero di rispettare o meno, in dipendenza della congiuntura temporale, economica o politica. 

«Occorre ripensare i meccanismi per la gender equality e l’empowerment delle donne, nella politica, come nelle istituzioni e nel mondo del lavoro con un cambio di prospettiva, in modo da agire direttamente sugli stereotipi di genere e favorire il tanto atteso cambio di passo» si legge nel documento. 

Aumento della partecipazione al lavoro produttivo, modifiche alle condizioni di lavoro, potenziamento delle norme contro le discriminazioni e le molestie, qualifica del welfare per diminuire le difficolta' di accesso e permanenza nel mondo lavoro. Sono solo alcune delle proposte. Tra le azioni di sviluppo dell'occupazione femminile, in cui dovrebbe esserci il coinvolgimento prioritario del ministero del Lavoro, le promotrici del documento includono anche una revisione generale in materia di congedi e sostegni, con un'estensione universale dei diritti legati alla maternità, l'aumento del congedo obbligatorio di paternità e il potenziamento di quelli facoltativi.

E poi una revisione dei servizi per l'educazione e la cura dei minori, dedicati alle persone con disabilita' e anziane. Fondamentale, poi, passare dalle politiche di conciliazione vita-lavoro a quelle di condivisione, la valorizzazione della contrattazione sindacale e il superamento delle forme di segregazione orizzontale e verticale, per combattere il Gender Pay Gap e il Gender Pension Gap. 

Sono, infine, giudicate "improcrastinabili" specifiche policy per la riduzione del Digital Gender GapLe organizzazioni femminili chiedono, inoltre, un maggiore impegno nella prevenzione e nel contrasto delle molestie sui luoghi di lavoro, ratificando la Convenzione Ilo n. 190. 



































 

© RIPRODUZIONE RISERVATA