Paola Cortellesi: «Discriminata e pagata meno, ora ho vinto»

Paola Cortellesi: «Discriminata e pagata meno, ora ho vinto»
di Gloria Satta
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Lunedì 13 Maggio 2019, 09:32 - Ultimo aggiornamento: 16:15

Nessuno, meglio di Paola Cortellesi, incarna la parità di genere. Almeno nel cinema. L'attrice romana, 45 anni e una figlia di sei, Laura, è attualmente l'unica donna capace di trascinare il pubblico nelle sale: i suoi ultimi film Come un gatto in Tangenziale, La Befana vien di notte e Ma cosa ci dice il cervello sono stati campioni d'incassi. Già nel 2014, aveva denunciato la discriminazione di genere: nella commedia di Riccardo Milani Scusate se esisto doveva fingersi uomo per poter lavorare. E l'anno scorso ha fatto scalpore alla cerimonia dei David di Donatello quando ha declamato in diretta tv il monologo anti-sessista di Stefano Bartezzaghi in cui la stessa parola cambia significato (sempre a sfavore delle donne) se declinata al maschile o al femminile. Esempio: cortigiano è un uomo che vive a corte ma cortigiana è una poco di buono, un passeggiatore ama camminare mentre una passeggiatrice è una prostituta, un massaggiatore si prende cura dei muscoli altrui invece una passeggiatrice vende sesso per la strada. E via di questo passo con i binomi zoccolo/zoccola, uno squillo/una squillo, gatto morto/gatta morta.

​Il Messaggero mette in rete Mind the Gap
 



È cambiato qualcosa da quella sua esibizione irresistibile che ha suscitato tante risate amare?
«Non mi sembra. Il monologo di Bartezzaghi denunciava, sia pure in forma esilarante, un problema culturale grave, antico e non ancora superato: la discriminazione di genere che passa anche attraverso il linguaggio. Ma le parole non vanno sottovalutate, soprattutto nell'era dei social».

Perché, secondo lei?
«Perché traducono un pensiero sessista che spesso sfocia nell'aggressività fisica. Per questo le nefandezze verbali postate sul web andrebbero punite con la massima severità. Chi insulta una donna a parole legittima le discriminazioni, addirittura la violenza».

A proposito di discriminazioni, per lei è stato difficile imporsi in un cinema che ha sempre privilegiato i mattatori?
«All'inizio tutti pensavano che una protagonista femminile non avrebbe interessato nessuno, poi gli incassi hanno dimostrato il contrario. E io continuo, anche come sceneggiatrice e presto come regista, a raccontare storie di donne che pur non essendo ricche o famose rispecchiano la realtà. Anche una casalinga, come mia nonna che ha cresciuto 4 figli, è una supereroina, altro che Wonder Woman».

Ha mai incontrato donne che, come il suo personaggio in Scusate se esisto, venissero discriminate sul lavoro?
«È capitato anche a me quando facevo l'autrice tv e una mia buona idea veniva automaticamente attribuita ai co-autori maschi. È un riflesso condizionato che purtroppo ci riguarda tutti: in un ospedale, ad esempio, ti aspetti che il primario sia uomo. Bisogna cambiare modo di pensare».

Come insegna la cultura dell'eguaglianza a sua figlia?
«I bambini non hanno pregiudizi, sono naturalmente portati alla parità. Ma perché non crescano con una mentalità distorta bisogna contrastare con vigore i luoghi comuni, gli sfottò sessisti. E demolire ogni eventuale idea che una femmina abbia meno valore di un maschio».

Non ci sarà vera eguaglianza senza parità salariale. Lei ha mai scoperto di essere pagata meno dei suoi colleghi maschi?
«Certo, è capitato in passato e il bello è che l'ho dato per scontato. Oggi non è più così, ma tante colleghe che non vivono un momento fortunato come il mio continuano a guadagnare meno degli uomini. La protesta delle attrici di Hollywood, che pure percepiscono dei compensi stellari, incoraggia tutte le donne a combattere per la parità salariale».

Sono servite a qualcosa, secondo lei, le denunce delle star e la mobilitazione mondiale anti-molestie?
«Anche se a volte si è esagerato con i licenziamenti e la gogna mediatica, il clamore degli ultimi mesi ha avuto il merito di portare il problema sotto i riflettori».

È stato però criticato il fatto che molte attrici abbiano denunciato gli abusi a distanza di anni.
«Le denunce vanno fatte in tribunale e non sui social, ma non condivido le accuse contro chi è uscita allo scoperto in ritardo: sfido chiunque a trovare il coraggio in una società che ancora considera una donna colpevole degli abusi da lei stessa subìti. Ha provocato, se l'è cercata: quante volte l'abbiamo sentito?».

Il cinema è davvero un ambiente malsano infestato di predatori, come avrebbe dimostrato il caso Weinstein?
«Ma no, non tutto il cinema è così. Io ho sempre incontrato dei serissimi professionisti capaci di lavorare in sinergia, realizzando sul set la società ideale. La mobilitazione degli ultimi tempi ha semmai risvegliato un pensiero femminista all'interno del nostro ambiente. Ed è un bene».

Lei è favorevole alle quote rosa?
«In teoria sarei contraria perché la partenza con il vantaggio rappresenta un'implicita ammissione di inferiorità. Ma da qualche parte bisogna pur cominciare. La lotta per la parità va fatta tutti insieme, con l'aiuto delle regole e del buon senso. Nel cinema, nel mio piccolo, io lavoro perché le donne si riprendano l'identità».
 

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