Manuela, la maestra che fa sorridere (anche) i bambini autistici

Manuela Arrigoni, insegnante elementare
di Vanna Ugolini
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Sabato 29 Giugno 2019, 13:36 - Ultimo aggiornamento: 14:07

MELDOLA (Forlì) Per gli insegnanti, i loro alunni sono come nuvole passeggere che ricamano il cielo sopra la vita. Le nuvole dei bambini e delle bambine della maestra Manuela Arrigoni, 55 anni, insegnante alla scuola elementare di Meldola, sono nuvole che se ne vanno sorridendo. «Se i bambini sono felici imparano meglio», spiega la maestra Manuela. Che ha le idee chiare su come si diventa una brava insegnante: «Bisogna osservare i bambini a lungo, osservare e capire. Oggi abbiamo una generazione di bambini che ne sanno più di noi. Possono aprire un computer e imparare quello che vogliono. Però hanno una sensibilità maggiore di quella che avevamo noi da piccoli. Io credo che oggi il miglior insegnamento sia quello di orientarli, guidarli rispettando la loro individualità, nel rispetto degli altri, che non devono essere prevaricati».

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Un po' metodo Montessori, addolcito dalle straordinarie capriole della fantasia di Gianni Rodari, con i ritmi della "Pedagogia della lumaca" del maestro Gianfranco Zavalloni?
«La Montessori fece una bellissima conferenza intorno al 1950 in Olanda: parlò del ruolo della scuola come strumento per aiutare i ragazzi a diventare cittadini del mondo. Una teoria assolutamente controcorrente in quel periodo, che fu osteggiata, forse anche perchè lei era una donna. Ma assolutamente moderna, che oggi è oggetto di discussione e condivisione. Anche la filastrocca è uno strumento di lavoro efficace. E poi c'è il fattore del tempo. Per crescere, per imparare, ci vuole tempo».

Ma in tutto questo le parrucche e gli occhialoni che indossa mentre fa l'appello cosa c'entrano? Non le sembra di esagerare?«Metto qualcosa di strano per attirare la loro attenzione, stimolare la loro curiosità. La curiosità è la molla per imparare».
E, allora, eccola la lezione tipo della maestra Manuela. Si entra in classe quando suona la campanella e per i primi dieci minuti ci si saluta. «Ciao, come stai?» «L' hai trovata la figurina che mancava?». Poi per altri dieci minuti si chiacchiera con la maestra su come è andata la giornata precedente, sul tempo, i colori e così via. Arriva il bidello che prende i nomi dei bambini che restano a mensa. Appello con la maestra travestita da fata turchina o da ape e poi via con la lezione. «Insegno italiano, storia e inglese. Ma cerco di farlo in maniera trasversale. Magari mentre insegno italiano viene fuori anche qualcosa di storia. O qualche parola che è interessante tradurre anche in inglese». Ma è interessante sapere in che modo la maestra sceglie quale delle tre materie insegnare: «Chiedo ai bambini quale materia vogliono che insegni. Votano per alzata di mano e la maggioranza vince. Certo, non sempre è possibile ma cerco il più possibile di seguire le loro inclinazioni». Dopo un'oretta ci si ferma per sgranchirsi le gambe e le braccia con gli esercizi del ragnetto E poi si legge. Tanto, ad alta voce. I libri che i bambini stessi portano da casa o quelli che piacciono alla maestra. Ma con parrucche e occhiali non si perde autorevolezza? «Io non credo che si debba insegnare mettendo paura, come è successo a me, quando ero al liceo classico. Impari se hai fiducia in me. Credo che sia fondamentale lavorare con l'educazione emotiva e parlare di ecologia: se l'uomo si stacca dalla natura non progredisce. Ho pensato e anche penato in questi anni di insegnamento ma mi ora credo di aver capito come si insegna». Ecco da dove nasce il costume da ape. «Ho pensato che era necessario insegnare ai bambini l'importanza delle api. Così li ho portati in una fattoria didattica dove c'erano degli alveari. E lì l'apicoltore ci ha insegnato le leggi dell'alveare: tutte le api sono indispensabili e cooperano fra loro. C'è rispetto per l'ape regina. Poi c'è l'aspetto ambientale: senza api non si sopravvive. Comunque il costume intero l'ho messo solo per la festa di carnevale. Per la lezione ho tenuto solo la parrucca gialla». (Sorride)
«I risultati ci sono perchè i bambini sono felici». E' riuscita anche a far sorridere un bambino che soffre di autismo, nella foto di classe. Un altro, addirittura, l'ha fatto diventare scrittore.«La mamma mi portò i suoi racconti. Li lessi molto tempo dopo e mi sembrarono belli. Strampalati ma molto belli. Riuscii a farglieli pubblicare da una casa editrice e poi invitai il ragazzo in classe a leggerli. Vedere quel ragazzo, con le sue difficoltà di lettura e con la difficoltà che aveva a muoversi, tenere in mano un libro che aveva scritto lui è stato un messaggio potente per i bambini: ognuno di noi ha il suo talento».

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