Lucia Ronchetti e il coro di voci femminili per la sfilata di Dior: «Porto in passerella voci di donne ribelli»

Lucia Ronchetti e il coro di voci femminili per la sfilata di Dior: «Porto in passerella voci di donne ribelli»
di Simona Antonucci
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Sabato 10 Ottobre 2020, 09:50 - Ultimo aggiornamento: 11 Ottobre, 18:37

Mogli di banditi alla macchia che gridano, madri di assassini unite dal lamento, canti funebri di donne che finalmente parlano, dopo una vita in silenzio accanto a mariti senza legge. «Le voci femminili che ho approvato per accompagnare l’ultima sfilata di Dior sono un’esplosione di dolore e desiderio di esistere: il contrappunto sonoro per il rituale silente della sfilata». Lucia Ronchetti, 57 anni, compositrice romana, ha un’immaginazione non convenzionale, cultura diffusa e ironia: «Faccio una vita monastica! Sempre in silenzio». 

 


Autrice di musica dei nostri tempi, di spartiti per il teatro musicale, Ronchetti è conosciuta e applaudita soprattutto all’estero, anche se è in Italia che ha costruito la sua figura professionale (prima del dottorato alla Sorbonne, Conservatorio e Laurea umanistica a Roma), è qui che raccoglie riconoscimenti e che occupa prestigiosi palcoscenici. Maria Grazia Chiuri, direttrice creativa italiana di Dior, le ha appena commissionato le musiche per l’ultimo défilé: in una cattedrale, reinventata con luci e colori, la performance “Sangu di rosa” che ha visto sfilare abiti leggeri e suoni secolari. Un evento coraggioso «che riletto pagine di storia solitamente raccontate da uomini».


Qual è stata la visione che dall’haute couture l’ha portata nella Corsica dell’Ottocento tra sante e fuorilegge?
«Devo confessare che ho da sempre una spiccata indole da bibliotecaria. Secondo me sono più brava a ideare progetti che a comporre spartiti. Prima della commissione Dior stavo lavorando a un percorso sulla Corsica con Catherine Simonpietri, la direttrice dell’Ensemble Vocale Sequenza 9.3 che conosco da tempo. Tra i vari scritti, mi sono imbattuta in quelli di Niccolò Tommaseo: era in esilio in Corsica, aveva tempo a disposizione e lo occupò a trascrivere queste lamentazioni funebri femminili, da lì a poco vietate perché sovversive. Voci di donne mai entrate nella storia». 


L’incontro con Chiuri?
«Lei aveva collaborato all’allestimento di Traviata al Teatro dell’Opera e ha sempre continuato a interessarsi all’interazione tra arte, musica e moda. Prima di chiamarmi aveva ascoltato “Inedia prodigiosa” proposta da Romaeuropa nel 2018. Un’opera corale con 150 cantanti che affronta il tema del digiuno femminile, attraverso alcune figure rappresentative di un fenomeno che a partire dalle sue radici rituali divenne patologia: da Santa Caterina da Siena, Maria Maddalena de’ Pazzi alle donne dimenticate, anonime, come le attuali anoressiche. Chiuri ha poi ascoltato parte del mio “viaggio” corso che era in scena a Parigi. Si è incuriosita all’idea di questo contrappunto tra suoni violenti e silenzio rituale. E così ha deciso con estremo coraggio».


La prossima “follia?” 
«Le Paroles Geleés in prima il 7 febbraio, alla Nouvelle Phiharmonie di Parigi, sempre con Simonpietri. Un lavoro ispirato a Rabelais. Pezzi di parole gelate, frammenti e suoni di battaglie che esplodono in una poesia sonora». 


Non sarà l’unica “follia?”.
«A giugno finalmente il debutto dell’opera Inferno, da Dante, alla Frankfurt Oper. A gennaio, a Berlino, Pinocchios Abenteuer, alla Staatsoper».


In Italia?
«Nel nostro Paese è rarissimo avere commissioni ed è rarissimo che le opere vengano eseguite. Un tempo ero arrabbiata. Ora non più. Ho allargato all’Europa il mio concetto di Patria. E comunque, sento che nel futuro andrà meglio». 


Per tutte queste prime dovrà scegliere dei vestiti adatti: che rapporto ha con la moda?
«Inesistente. Sono talmente tanti anni che cerco di catturare le immagini acustiche per trasferirle sulla pagina scritta che ho smesso di usare le mie capacità visive. Non riesco a capire come mi sta un vestito e la moda per me è un ambito artistico non facilmente decodificabile».


Come arriva alla creazione? 
«Ho un immaginario sonoro, la creazione avviene nella mia mente. L’emozione arriva nel trasferimento delle immagini acustiche in una foresta di segni. Non sempre riesco a riportare nella pagina tutte le sensazioni acustiche che immagino. La gente si sorprende che stia così a lungo in silenzio. Ma io mi sento come su una giostra».

 
I figli qualche rumore per casa lo faranno?
«Ormai hanno 30 e 20 anni. Sono meravigliosi, ma non so come sono riuscita a crescerli».


Suo marito? 
«È uno psicanalista, ha buone armi per supportarmi».


Una donna artista in un mondo di colleghi uomini. Ha dovuto combattere?
«Sono stata io stessa che ho odiato essere donna: i miei genitori non hanno mai nascosto che avrebbero preferito figli maschi. Nonostante il mio impegno nello studio, per loro ero comunque una donna che non soddisfaceva la loro idea di riscatto sociale. Le frustrazioni successive sono state tutte più sopportabili. E comunque quello che è importante capire e combattere è che determinate convinzioni non nascono nelle famiglie, ma dalla politica culturale di un Paese». 
 

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