Irene Micelotta, prima donna paracadutista dell'Arma: «Non è più tempo di parlare di incapacità femminile»

Il Maggiore Irene Micelotta durante un lancio
di Camilla Mozzetti
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Mercoledì 2 Ottobre 2019, 08:32 - Ultimo aggiornamento: 15:28

Irene Micelotta non ha paura delle vertigini. Le “altezze” ha imparato a governarle. Un poco alla volta, nuotando tra le nuvole ma avendo i piedi ben piantati in terra. A 43 anni è l’unica paracadutista esploratrice dell’Arma dei carabinieri che fa “discesa” libera lanciandosi da 5mila metri. All’origine era una passione: abbandonarsi al vuoto e trovare l’equilibrio in questo.  Una sfida con se stessa prima che con la forza di gravità. Poi quella passione - allenata nel tempo - è diventata il lasciapassare per ricoprire incarichi di primo piano nell’Arma sul fronte delle missioni all’estero. 

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Oggi la Micelotta, con il grado di Maggiore  - ma anche con il ruolo di madre di una bimba di 9 anni -, è stata nominata capo sezione operazione della II Brigata mobile dei carabinieri «L’unità - spiega - che si occupa delle missioni oltre confine o che coordina, sia sotto il profilo dell’addestramento dei militari che dal punto di vista operativo, altre unità (come il reparto Tuscania o il Gruppo intervento speciale) che le svolgono all’estero». La sua storia, per come è stata scritta, racconta il raggiungimento di un traguardo, personale e collettivo: «Far capire che noi donne possiamo misurarci con qualsiasi cosa, basta essere preparate». Nel suo passato ci sono mesi e anni di addestramento in reparti decisamente muscolari dell’Arma che hanno iniziato ad aprirsi alle donne, permettendo loro l’ingresso, ad esempio, tra i paracadutisti, nei primi anni del Duemila. 

«Quando sono arrivata al corso nel Tuscania - ricorda il Maggiore Micelotta - avevo 32 anni, c’erano pochissime donne e gli altri allievi erano uomini di 22, 23 o 24 anni. Per me finire quel corso ha significato vincere. E’ importante sottolineare un aspetto: in corsi come quello non c’è una differenziazione neanche formale tra uomo e donna perché tutti gli allievi sono tenuti a raggiungere determinati obiettivi e specifici risultati stabiliti dai protocolli. In contesti come questo cade l’idea obsoleta del “superuomo” o della “superdonna”, si deve resistere un anno alla fatica psicofisica. Se hai la febbre la devi sopportare altrimenti ti fermi e sei fuori, se ti rompi un dito vale lo stesso principio e non importa chi tu sia ma quello che riesci ad affrontare». La Micelotta è pure convinta che «come l’ho fatto io, evidentemente lo possono fare tutti. Di certo ci vuole una certa predisposizione alla resistenza e una grande motivazione». Ma perché proprio questo percorso che presenta non poche difficoltà? «E’ un reparto che ti forma perfettamente alla professionalità perché è duro sì, ma onesto. Se tu, come persona in generale e donna in particolare,vuoi metterti in gioco su un’attività che richiede una preparazione fisica e non - attenzione - una prestanza fisica lo puoi fare perché i reparti di tutte le forze armate sono oggi avvicinabili dalle donne. Non è più tempo di parlare di incapacità femminile». 



E dopo l’addestramento, i riconoscimenti che ne sono seguiti, il comando di una compagnia territoriale come quella di Cecina, sono arrivate le missioni: in Kosovo e poi in Palestina dove la Micelotta, nel 2013, ha ricoperto l’incarico «di comando reale nella missione “Tiph” oggi chiusa - ricorda - una missione che esiste fin dagli anni Novanta ed è legata al rispetto dei negoziati tra Israele e Palestina sull’occupazione dei territori di confine». All’epoca si occupò dell’impiego di tutti gli osservatori militari arrivati da Turchia, Italia, Svizzera, Danimarca, Norvegia e Svezia. «Un’altra bella sfida», che oggi ricorda con orgoglio aspettando «nuove occasioni». 

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