"Lucilla", il romanzo dell'illustratrice olandese Annet Schaap: «La mia bambina coraggiosa che accetta la diversità»

Annet Schaap
di Valentina Venturi
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Mercoledì 13 Maggio 2020, 11:03

Annet Schaap, è una delle più affermate illustratrici olandesi. Dopo aver illustrato più di duecento libri, da poco ha pubblicato il primo primo romanzo “Lucilla”. Il testo, una delicata favola moderna in cui insieme alla protagonista Lucilla (figlia del guardiano del faro) convivono pirati, sirene, artisti bizzarri e in cui si lotta per il diritto ad essere diversi, in Olanda ha vinto quattro premi letterari ed è stato pubblicato in Germania, Regno Unito, Slovenia e Danimarca. Questa fiaba 'per grandi' è uscita anche in Italia per La Nuova Frontiera Junior, con la traduzione di Anna Petrucco Becchi. 
 

 


“Lucilla” è una bambina coraggiosa e desiderosa di accettare gli altri. Cosa l’ha ispirata?
«Tra il 2011 e il 2013 ho viaggiato in camper attraverso l’America e il Canada insieme a mio marito e a mio figlio. In uno degli ultimi giorni di viaggio siamo saliti su barca su lago Michigan. Qui ho visto un piccolo faro su una penisola. In quel momento una voce nella mia testa mi diceva: “Fai una foto a quel faro e scriverai un libro su di lui”».
 
E poi?
«Scattata la foto, dopo qualche anno la vicenda del libro mi è tornata alla mente grazie a quella singola immagine. Viaggiare in un paese così grande come l’America mi ha ispirato; prima non avevo viaggiato molto, per questo sono stata come trasportata dai paesaggi, dagli spazi enormi e dalla costa selvaggia. Le immagini che vedevo in quegli anni di viaggio mi sono tornate alla mente mentre scrivevo».
 
È da quel faro che nasce il titolo?
«Il termine “Lampje” in olandese vuol dire piccola lampada; che in italiano coincida con il nome di un bambino è stata una bella coincidenza. Piccola lampada o piccola luce è quello che la bambina è: spande la luce».
 
Esistono ostacoli per una donna che vuole scrivere libri per bambini?
«Non credo che in un paese come i Paesi Bassi ci siano tante difficoltà a diventare un’autrice di libri per bambini. Questa parte del mondo letterario è già emancipato: uomini e donne lavorano nello stesso modo e vengono pagati più o meno uguali. Gli ostacoli che ho superato erano piuttosto nella mia testa».
 
Che vuol dire?
«Sono cresciuta in una famiglia e in un periodo storico in cui gli uomini erano considerati più importanti delle donne. Come ragazza non avrei dovuto distinguermi e come donna non avrei dovuto essere un vero autore. Pensare e scrivere era per gli uomini. C’è voluto del tempo per superare questo giudizio e per prendermi seriamente come autrice».
 
In “Lucilla” le figure negative non vengono punite. Come mai?
«Perché penso che sia più interessante comprendere le persone, capire le motivazioni da cui vengono le loro azioni e perché pensano e agiscono in quel modo. Quindi giudicarle in modo unidimensionale, creando un personaggio buono o cattivo e che quindi debba essere punito o premiato non è interessante. Non penso che il mondo funzioni in questo modo, credo che ci sia bisogno di compassione più che di giudizi o punizioni».  
 
Da dove è nata l’idea di un bambino dalla coda di pesce, un “diverso”?
«Fin da subito sapevo che la storia sarebbe stata incentrata su una casa con un bambino nascosto, che viveva sotto il letto; un bambino che non era considerato per ciò che era e che gli veniva ripetuto che doveva essere diverso. In seguito me lo sono immaginato con una coda di pesce, ma ci ho messo del tempo per capire che la storia era connessa alla fiaba della "Sirenetta" di Andersen. È stata una sorpresa, ma alla fine è perfetto».
 
Perché i disegni nel libro sono a china e non realizzati al computer?
«Mi piace tantissimo lavorare con inchiostro e carta, non mi sono mai abituata al computer. Chiamatemi pure old fashioned, vecchio stampo!».
 
La scrittura quanto è importante?
«Volevo scrivere da tanto, da quando ne ho memoria. È solo che ero molto più insicura a scrivere delle mie storie, mi ci è voluto tempo per prendere coraggio. Disegnare storie di altri era molto più sicuro e facile. Ho cominciato a scrivere verso i 30 anni per un gruppo di teatro per bambini e per un po’ è stato magnifico. Poi è diventato stressante e non mi sentivo più ispirata. A 41 anni ho incontrato mio marito, sono diventata mamma e ho cominciato a viaggiare, tanto che non ho più pensato a scrivere. Mi ha aiutato. Immagino che le storie siano maturate in questo periodo, fino a che non è arrivato il momento di tirarle fuori».
 
È stata sorpresa dei premi?
«Moltissimo. E non vuol dire che non pensi che “Lucilla” sia un buon libro, è solo che mentre lo scrivevo non pensavo se sarebbe stato apprezzato. Scrivevo la storia per piacere personale. Che poi abbia toccato così tante persone mi sorprende ancora e mi rende felice».
 
Com’era da bambina?
«Difficile, penso.
Mi offendevo facilmente, ero solitaria, creativa e leggevo tantissimo. Ho sempre avuto la sensazione che non fossi abbastanza che dovessi essere meglio, più carina, dolce, intelligente…».

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