NUOVO PERCORSO
E così è iniziato un nuovo e più gratificante percorso arbitrale. Prima come assistente in terza serie, poi in serie B dove oggi sbandiera ogni domenica. Un traguardo non facile da raggiungere, perché, come spiega Manuela «in Francia non c’è differenza tra arbitri maschi e donne: i test sono uguali per tutti e, quindi, se non li superi non arbitri». Proprio per questi parametri elevati, le arbitro donne sono ancora poche anche in Francia. »In pratica siamo solo due a dirigere tra i maschi: la Frappart, prima donna arbitro a dirigere gare in Ligue1, e io, unica donna in Ligue2». Le due, fanno coppia fissa in campo internazionale, per questo la Fifa le ha designate, insieme all’irlandese O Neill, per dirigere, otto giorni fa, la finale tra Usa e Olanda. «In quello stadio avevo già arbitrato», ricorda Manuela. «Ma al massimo c’erano stati 25 mila spettatori. Invece per la gara di finale sugli spalti c’erano 59 mila persone. Quando l’ho saputo, mi sono venuti i brividi». Brividi, non paura perché Manuela, con il suo sorriso e la sua sprizzante gioia, insieme alle sue colleghe ha incantato tutti. «A fine gara abbiamo ricevuto i complimenti di Infantino, presidente della Fifa, e di Macron. E chi lo scorderà mai quel momento».
IL FUTURO
Mandata in archivio, ma non certo nel dimenticatoio, la finale, Manuela (che in Francia vive a tempo pieno il suo ruolo arbitrale) si è presa qualche giorno di vacanza, insieme alla sua Celeste ovviamente, tornando in Italia e nella sua Roma. «A Lione c’era tutta la mia famiglia, e mia figlia Celeste ha anche fatto il terzo tempo con me, prendendosi gli applausi delle giocatrici delle finale». Momenti speciali, che Manuela spera di vivere ancora. «Magari in Ligue1, dove ora spero di poter arrivare al fianco della Frappart. Al Mondiale, grazie anche a Valeri e Irrati che erano lì per la Fifa, ho fatto anche tanta esperienza al Var e questo può essere una condizione da sfruttare». All’Italia, Manuela pensa solo per le vacanze, per ora. Anche perché, vedere una donna a bordo campo con la divisa arbitrale è difficile. Per ora, c’è riuscita solo Cristina Cini, ma è un ricordo che si perde nella notte del maschilismo italiano.
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