Nobel, le nuove icone della conoscenza: tre donne premiate

Nobel, le nuove icone della conoscenza
di Barbara Gallavotti
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Giovedì 8 Ottobre 2020, 07:51 - Ultimo aggiornamento: 16 Febbraio, 09:54

Ci sono dei Nobel che sono inevitabili: tutti sanno che verranno assegnati, e che avverrà presto. Così è stato per il premio Nobel della chimica conferito quest'anno a Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna. La loro scoperta ha radicalmente cambiato le possibilità di intervenire sul patrimonio genetico, cioè sul Dna: teoricamente anche sul nostro. Come se le vincitrici avessero assegnato alla comunità scientifica una gomma e una matita con le quali cancellare e riscrivere parti del libro della Vita.

Nobel per la Chimica alle due donne Charpentier e Doudna per scoperta 'forbici genetiche' del Dna


Curiosamente, dobbiamo questa scoperta all'eterna lotta contro i virus. Non la nostra questa volta, ma quella dei batteri. Che sono i primi esseri viventi comparsi sulla Terra, i più semplici, potenziali cause di malattia, ma a loro volta vittime di infezioni virali. Per difendersi alcuni batteri hanno evoluto una sorta di sistema immunitario, proprio quello che ha attirato l'attenzione delle due ricercatrici.


Si tratta di un meccanismo abbastanza complesso, nel quale però gioca un ruolo cruciale una proteina, chiamata Cas9. Quando un virus infetta il batterio, inietta al suo interno il proprio materiale genetico. Se la vittima fosse indifesa il virus ne prenderebbe il controllo, obbligandolo a produrre molte nuove copie del virus. Ma grazie a un meccanismo che coinvolge specifiche porzioni del Dna del batterio, indicate con l'ostico acronimo Crispr, la proteina Cas9 può riconoscere la presenza del nemico e tagliare la sequenza genetica del virus, distruggendolo. Per questo si parla di forbici molecolari e il sistema è detto Crispr-Cas9.

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Charpentier e Doudna lavoravano già separatamente su questi temi, ma nel 2011 entrambe si incontrano a Puerto Rico per un convegno. Per una di quelle scelte causali che cambiano il destino delle persone, le due colleghe si concedono una passeggiata, chiacchierando informalmente del proprio lavoro. Da quella conversazione è nata la collaborazione straordinaria che le ha portate prima a riprodurre quelle forbici molecolari in provetta, e poi addirittura a dimostrare che potevano essere controllate e utilizzate per tagliare qualsiasi Dna nel punto desiderato.


Queste scoperte, tanto eccezionali da meritare il Nobel, hanno aperto la possibilità di intervenire su una informazione contenuta nel Dna danneggiandola al punto da renderla inservibile, qualora si desideri che la cellula ignori ad esempio perché dannosa. O addirittura, combinando questa con altre tecnologie, può essere possibile eliminare dal Dna un segmento difettoso e sostituirlo con uno funzionante. Le forbici molecolari sono già state utilizzate per creare piante resistenti a certi parassiti, ma la grande speranza è poterle usare a scopo terapeutico, per disarmare le cellule tumorali o per riparare malattie genetiche. Ma come tutte le grandi scoperte, occorre tempo e cautela prima che possano essere tradotte in terapie sicure da somministrare ad esseri umani e per fortuna nessuno sembra voler accelerare e rendere disponibili dei trattamenti prima che ne siano chiare tutte le possibili implicazioni.


Quello che invece è chiaro, è che quest'anno a Stoccolma sembrano aver preso a martellate quel tetto di cristallo che si dice impedire alle scienziate più brave di prendere il volo e librarsi ad altezze che i colleghi uomini potrebbero invece raggiungere senza ostacoli se non quelli posti dalle loro capacità. L'accademia svedese ha infatti premiato tre ricercatrici, oltre alle due di oggi anche Andrea Ghez per la fisica. Ma non è causale che le tre neolaureate siano nate tutte fra il 1964 e il 1968: rappresentano una intera generazione di studiose che si è imposta nel mondo della ricerca, dando un contributo che non è più possibile sminuire. In fondo il Nobel è una fabbrica di eroi: icone della conoscenza e modelli ai quali aspirare. Le scienziate appena premiate forse non hanno cambiato solo le prospettive dei rispettivi campi di interesse, potrebbero anche aver ridisegnato il modo in cui le persone immaginano il volto di chi fa ricerca.

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