La Fase 2 del post coronavirus sia più inclusiva verso le donne, la task force conferma il gender gap

La Fase 2 del post coronavirus sia più inclusiva verso le donne, la task force conferma il gender gap
di Maria Lombardi
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Sabato 18 Aprile 2020, 09:55

Questa storia finora l'hanno raccontata gli uomini. Nelle conferenze stampa, nelle analisi degli esperti, nel disegno degli scenari che ci aspettano. Questa storia finora l'hanno scritta gli uomini. Con le strategie per combattere il virus, i discorsi al paese, le mappe di chiusure e riaperture, le decisioni che ci hanno cambiato la vita.

Questa storia seguirà una trama scelta sempre da loro: i comandanti hanno gestito la fase 1, dell'attacco, e sempre i comandanti guideranno la fase 2, della ripresa. Questa storia del 2020 somiglia drammaticamente a tutte le altre: parlano solo gli uomini, non si sente la voce di una donna. L'unica presenza femminile nelle conferenze stampa della Protezione civile che da quasi due mesi scandiscono i nostri pomeriggi è silenziosa: Susanna Di Pietra, qualche passo indietro, muove le mani e la bocca senza emettere un suono, traduce la cronaca della pandemia per i sordi.

Questa storia ci mostra il paese per come è: si entra nelle stanze dei bottoni solo in cravatta. La parità è un orizzonte lontano che la crisi rischia di allontanare ancora di più. Se l'emergenza è stata manovrata dagli uomini, avanti così anche la nuova normalità sarà nelle loro mani.

Eppure le donne ci sono, eccome. In prima linea, a sfidare il nemico, con mascherine e guanti nelle corsie e nei laboratori di ricerca. A prendersi cura, consolare, raccogliere lacrime e ridare respiro. Infermiere, dottoresse, scienziate, le eroine, tanta gloria e zero potere. Hanno i volti di donne le immagini simbolo della tragedia: l'infermiera che si addormenta con la mascherina sulla tastiera del pc, la dottoressa che culla l'Italia, come fosse un neonato. Portano la firma di uomini i decreti e i documenti che hanno deciso le tappe dell'emergenza. Anche quelli che ci condurranno fuori dal lockdown e disegneranno la ripresa. Come dire: ci siete e vi celebriamo, ma non contate niente.

Quattro su diciassette: tante le donne presenti nella task force governativa guidata dal manager Vittorio Colao per gestire la fase 2, quella della ripartenza. Raffaella Sadun, professoressa della Harvard Business School, l'economista Mariana Mazzucato, Filomena Maggino, docente di statistica, Elisabetta Camussi, psicologa. Pochissime, appena il 20 per cento. Così, dopo il comitato scientifico - tutti uomini - e gli altri centri di comando al maschile (da Angelo Borrelli alla guida della Protezione civile a Domenico Arcuri commissario all'Emergenza) arriva la nuova cabina sotto lo stesso segno. È troppo.

Vi abbiamo dato ascolto, ma ora #datecivoce è l'appello al premier Conte e al manager Colao firmato da associazioni e donne impegnate nella difesa dei diritti. «Chiediamo fin da ora che nelle commissioni e nelle task force, costituite e da costituirsi, per gestire la fase 2 dell'emergenza, sia inserito un adeguato numero di donne capaci, commisurato alla rappresentanza femminile di questo Paese, che è la metà della popolazione», si legge nella lettera che ha raccolto oltre 50mila adesioni. «Le donne ci sono state in questa crisi, hanno lottato, sopportato, subito, sperato e disperato. Insieme agli uomini, e forse, in alcune dimensioni, anche più degli uomini. Tutto questo, purtroppo, non ha trovato un'adeguata rappresentazione nei centri di decisione pubblica e collettiva». Niente di nuovo, si dirà, è sempre stato così.

Ma in questa crisi ci stiamo giocando il futuro, come ne usciremo segnerà il destino del Paese. Può decidere tutto solo una metà? Ci prova la ministra per la famiglia e le pari opportunità Elena Bonetti a far sentire qualche voce femminile con la squadra di 12 esperte, «donne per un nuovo Rinascimento», che dovrà contribuire alla ricostruzione dell'Italia devastata dalla pandemia. Quanto saranno ascoltate? «Iniziativa da apprezzare. Tuttavia, non basta», conclude l'appello a Conte e Colao. Certo che non basta.
Sarà un caso, ma i paesi guidati da leader donne stanno facendo meglio. Angela Merkel in Germania, Jacinda Ardern in Nuova Zelanda, Tsai Ing-wen a Taiwan, Sanna Marin in Finlandia, Erna Solberg in Norvegia, Mette Frederisen in Danimarca hanno finora gestito l'emergenza in modo più efficace.

O forse un caso non è, e l'Italia sta così sprecando l'ennesima occasione per coinvolgere le donne nelle decisioni, ascoltarle, dare loro spazio, diminuire lo spread di genere. Chissà, forse siamo ancora in tempo perché questa non sia una storia, un'altra, che non saremo noi a raccontare. Di sicuro da questa storia se ne può uscire solo insieme, uomini e donne.

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