Occhiali vietati al lavoro, le impiegate giapponesi in rivolta: «Siamo discriminate»

Occhiali vietati al lavoro, le impiegate giapponesi in rivolta: «Ci discriminano»
di Maria Lombardi
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Sabato 9 Novembre 2019, 19:43 - Ultimo aggiornamento: 10 Novembre, 09:41

Al lavoro senza occhiali. Meglio le lenti a contatto. Ed è rivolta sui social, le donne giapponesi contestano questa nuova regola imposta da compagnie e aziende. Con l'hashtag #glassesban, gli occhiali sono vietati, hanno dato il via a una mobilitazione virtuale su Twitter: stop a tutte queste prescrizioni sul look da parte dei datori di lavori. «Prima il make-up, poi i tacchi adesso gli occhiali», uno dei tanti tweet. Si è chiesto alle lavoratrici di truccarsi, di portare i tacchi e adesso di non mettere gli occhiali. C'è chi parla di regole superate, chi di idiozia.      
«Se le regole vietano solo alle donne di indossare gli occhiali, si tratta di una discriminazione», ha dichiarato alla Thomson Reuters Foundation, Kanae Doi, direttore di Human Rights Watch Giappone.

Perchè vietare gli occhiali? Per le compagnie aeree è una
«ragione di sicurezza», le aziende cosmetiche sostengono che le clienti non possono vedere il make-up delle commesse dietro gli occhiali da vista, le catene di hotel sono convinte che le impiegate alla reception con lo sguardo dietro le montature danno «un'impressione fredda». E infine ristoranti e locali tradizionali affermano che gli occhiali non stanno bene sul kimono. Una donna impiegata nei ristoranti ha twittato che le è stato ripetutamente detto di non indossare gli occhiali perché segno di «maleducazione» e non sono in linea.  


 


«Se portare gli occhiali al lavoro è un problema dovrebbero essere vietati sia alle donne che agli uomini», dice Ishikawa che la lanciato una petizione per contestare questa nuova imposizione e ha già raccolto 31mila firme, racconta Bloomberg. «La questione degli occhiali è la stessa dei tacchi alti: una regola che vale solo per le lavoratrici donne».   




Lo scorso giugno era stato chiesto al governo di Shinzō Abe di introdurre una legge per proibire l'obbligo dei tacchi alti in ufficio. In Giappone non esiste una norma che impone un particolare dress code sul posto di lavoro, ma era praticamente impossibile per una donna trovare un lavoro senza tacchi alti. La rivolta contro décolleté e stivaletti 12 centimetri era partita a gennaio quando l'attrice e scrittrice Yumi Ishikawa aveva lanciato una petizione che aveva raccolto migliaia e migliaia di adesioni. Era nato così il movimento  #KuToo che richiama il MeToo e che gioca sulle due parole «kutsu» (scarpe) e «kutsuu» (dolore). Una campagna che ha fatto sempre più sostenitori fino all'appello al governo di mettere fine a una consuetudine giudicata sessista e discriminatoria. In risposta, un ministro giapponese aveva dichiarato che le aspettative del codice di abbigliamento erano «necessarie e appropriate» sul posto di lavoro. 


Basta tacchi alti per andare in ufficio: nasce il movimento "KuToo"

 

 

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