Più donne ai vertici della pubblica amministrazione, ma è una corsa ad ostacoli

Più donne ai vertici della pubblica amministrazione, ma è una corsa ad ostacoli
di Franca Giansoldati
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Giovedì 16 Maggio 2019, 08:36 - Ultimo aggiornamento: 11:34

Che fatica, però. Certo, in dieci anni qualcosa è cambiato, ai vertici della pubblica amministrazione la presenza delle donne ha segnato un passo in avanti, dal 42% al 50,6%. Basta prendere le statistiche per rendersi conto che dal 2008 in poi c'è stato un certo avanzamento sotto la spinta di vari fattori, compreso una progressiva fluidità nell'applicazione delle normative sia europee che nazionali. Leggi varate per ridurre il gap, quel brutto gradino che ancora impedisce a tante funzionarie preparate di sbriciolare i muri. Tuttavia, se si vanno a mettere in ordine i numeri pubblicati nella monumentale ricerca presentata ieri in occasione del Forum della Pubblica Amministrazione, si capisce che in Italia davvero solo all'inizio. Non sempre è tutto sia rose e fiori. Le cifre sono importanti ma vanno interpretate. Tanto per cominciare l'avanzata rosa registrata tra il 2007 e il 2017 sembra sia «dovuta più al taglio di oltre 10 mila colleghi che non a un aumento delle assunzioni femminili».

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SITUAZIONI
Se la presenza delle donne all'apice degli organismi pubblici risulta molto più evidente nelle professioni sanitarie, dove fra i dirigenti non medici del Servizio Sanitario nazionale le «donne sono più del doppio degli uomini», in altri ambiti scarseggiano. Le percentuali si assottigliano, per esempio, all'interno delle Regioni e nelle Autonomie Locali. In questo caso le donne arrivano a malapena al 36%. Un altro ambito, invece, dove la situazione è migliore (con un 48% di donne dirigenti) è la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Lì in tutto tra maschi e femmine - i dirigenti sono 269, rappresentano il 13% di tutto il personale stabile, e uno su due è donna con una età media di 55 anni e una anzianità di servizio di oltre venti. Al Forum sulla Pubblica Amministrazione questi numeri sono stati accompagnati da analisi e riflessioni sull'innovazione e la sostenibilità, soprattutto per capire quanto si è ancora lontani dal profilo di dirigenza che, riforma dopo riforma, resta ancora al centro di programmi specifici. Di gender gap ne sa qualcosa Francesca Bagni Cipriani, Consigliera Nazionale di Parità, la responsabile numero uno che vigila sul rispetto delle norme in materia di parità e pari opportunità, sia nel settore pubblico che in quello privato, combattendo una improba battaglia dalle Alpi alla Sicilia. «L'attuazione delle politiche per la parità di genere è una esigenza ormai imprescindibile, considerata l'attenzione a livello comunitario. Ma il cammino, ahimè, è parecchio lungo. Pur in presenza di un quadro normativo articolato, definito ormai da più di vent'anni, permangono - anche nella pubblica amministrazione evidenti ostacoli da rimuovere per il raggiungimento di un buon livello di parità». Il settore pubblico sta messo meglio di quello privato ma solo perché è tutto regolato da concorsi e regolamenti.

STIPENDI
Di conseguenza nella pubblica amministrazione non c'è quasi disparità di trattamento sullo stipendio tra dirigenti maschi e femmine, il famoso gender pay gap. Nelle aziende private anch'esse sottoposte al monitoraggio continuo da parte del Ministero che provvede a inviare, ove necessario, ispettori per verificare l'esistenza di problemi la fotografia è decisamente più sfaccettata e problematica. «Lavoriamo a fondo su vari aspetti. Le disparità esistono, le donne fanno oggettivamente più fatica degli uomini, ma serve tempo perché nessuno ha la bacchetta magica. L'esistenza del gender gap è qualcosa che ha a che fare con la nostra cultura più profonda e tradizionale, con i nostri archetipi». Ma perché le donne sia nel settore della pubblica amministrazione che in quello privato spesso finiscono per restare al palo? «Bella domanda. Ricopro questo incarico da anni ma non so darmi una risposta. Le donne sono più brave e preparate, oggi si laureano anche in materie scientifiche, eppure spesso tornano a casa. Ai convegni si parla sempre di gap, naturalmente tutti sono d'accordo ma poi il giorno dopo tutto è come prima. Bisogna cambiare una certa cultura».
 

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