Scuole romane contro gli stereotipi: anche per i bambini le donne non possono giocare a calcio

Scuole romane contro gli stereotipi: anche per i bambini le donne non possono giocare a calcio
di Alessandra Spinelli
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Lunedì 18 Novembre 2019, 17:57

Più della realtà che ogni giorno vivono bambine e bambini, normalmente coinvolti in giochi senza ruoli per il puro piacere del divertimento, possono gli stereotipi dei grandi che si abbattano sull'innocenza dei piccoli come gabbie mentali. Ecco dunque che nel XXI secolo la donna non può fare il calciatore - e la meravigliosa nazionale di calcio ai mondiali? -  o lo sportivo, mentre un uomo non deve fare il cuoco - e Cannavacciulo, Cracco e tutti gli altri chef? -  il maestro o il ballerino. Guai ad un maschio che si veste di rosa o di rosso, colori giudicati da femmina, ma meglio blu e verde. Il ruolo della mamma è di cucinare e curare i propri figli quando stanno male, mentre quello del papà è di lavorare e portarli fuori casa per farli divertire.

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Nei più piccoli c'è la concezione che esistano lavori esclusivamente «da uomo» e «da donna», che il padre lavora e la madre si occupa della casa: è questo lo sconsolato quadro che emerge dalla ricerca condotta da Comunicazione 2000, nell'ambito del progetto "Oggi per Domani", realizzato con il contributo del Dipartimento delle Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, su un campione di 300 classi di 70 scuole dell'infanzia e primarie del Comune di Roma che hanno aderito all'iniziativa di sensibilizzazione contro la violenza di genere e raggiunto oltre 8.000 bambini.

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Dallo studio risulta che il 53% degli insegnanti delle scuole romane sostiene che tra i bambini della fascia d'età 3-10 anni sono presenti stereotipi legati al genere, che talvolta si traducono in veri propri pregiudizi.

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I bambini ritengono che anche nei giochi ci debba essere una distinzione: quelli all'aperto e dove si corre sono per i maschi, mentre le femmine ci sono le bambole, o quelli dove ci si finge a fare le mamme o le parrucchiere. Resta da chiedersi come siano le famiglie giacché bimbi così piccoli difficilmente hanno stereotipi così forti.  Nonostante ciò, solo per 2 bambini su 100 la donna rappresenta «il sesso debole».

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Fortuna che, come evidenzia la ricerca, il 70% degli istituti scolastici considerati organizza lezioni e programmi ad hoc per sensibilizzare gli alunni contro la violenza, ma sono rivolti soprattutto al tema del bullismo e cyberbullismo, mentre meno del 40% delle iniziative affronta la violenza di genere. Anche se il 100% degli insegnanti intervistati dichiara di parlare e spiegare costantemente ai bambini concetti quali il rispetto dell'altro e le pari opportunità, solo il 36% degli istituti scolastici ha a disposizione uno psicologo. Resta poi da capire quali libri di testo siano adottati e con quali concezioni sul femminile e maschile. 

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​Emerge, dunque, - fanno notare i responsabili del progetto - un contesto in cui da un lato si riscontra nei bambini la presenza di stereotipi legati al sesso e, dall'altro, la mancanza di interventi mirati a contrastare la formazione di queste architetture culturali che nella loro peggiore espressione si traducono in episodi di violenza di genere. Non a caso, l'unanimità degli insegnanti (100%) coinvolti ha dichiarato interessante e di grande attualità l'iniziativa, e il 93% delle scuole aderenti all'iniziativa vorrebbe che il progetto si ripetesse il prossimo anno.

Punto centrale del progetto è un video animato con protagonista il maestro Guido Storto che fa riflettere i più piccoli, stimolandoli a concetti positivi quali il rispetto dell'altro, la parità di genere, l'uguaglianza e l'apertura alle diversità.

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