Camilla Filippi: «Noi attrici guadagniamo sempre meno degli uomini: è abbastanza fastidioso»

Camilla Filippi ©Fabio Lovino
di Valentina Venturi
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Domenica 6 Settembre 2020, 19:38
Chi è la sorella sbagliata? Può davvero esistere l’errore negli affetti? Se lo domanda Camilla Filippi, attrice di "Tutto può succedere" (2015-2018), "In fondo al bosco" (2015) e "Il processo" (2020), nel suo primo romanzo “La sorella sbagliata”, in libreria per HarperCollins dal 3 settembre. Ispirandosi liberamente alla sua storia familiare, l’attrice debutta nella narrativa con un romanzo ambientato nell’estate del 1978 e, con tatto e ironia (caratteristiche che la contraddistinguono), racconta di due giovani donne, di un odio apparente e di un profondo amore.

Da attrice a scrittrice: è stato facile?
«Scrivo da tanti anni, ma solo da grande ho avuto il coraggio di tirar fuori quello che scrivo perché è molto difficile. Quando ho iniziato il libro mi sono detta due cose: la prima di cercare di essere onesta. Succede anche nel cinema: se un’opera prima ha degli errori tecnici ma è onesta nel sentimento quello poi vince sopra le altre cose. La seconda: come quando ti dicono: “Parla come magni”, io mi sono detta: “Scrivo come magno!”».
 
Per la società odierna, la scrittura si confà alle donne?
«In generale la società ci mette ancora da parte e dobbiamo fare sempre il doppio di quello che viene richiesto a un uomo, ma in questo caso specifico l’essere una donna non mi ha penalizzato».
 
Nel mondo della recitazione ci sono delle penalizzazioni?
«Anche solo il fatto che noi guadagniamo sempre meno degli uomini mi sembra abbastanza fastidioso. A tutti i livelli di fama, non ce n’è una di noi che guadagni quanto guadagnano gli uomini; a pari livello ovviamente. E solo da poco abbiamo smesso di essere “la fidanzata” o “la moglie di qualcuno”».
 
Ha una sorella?
«No, ho dei fratelli».
 
Come mai parla di sorella?
«Ho un ottimo rapporto con i miei fratelli, ma scrivo di una sorella perché sono una donna, ho una voce femminile e mi faceva meno paura avere un approccio a un mondo che conosco».
 
Una scelta ragionata su cosa?
«Sulle mie paure e sulle mie capacità. Una volta qualcuno mi ha detto che per iniziare si deve raccontare di quello che si conosce: sono una donna, conoscono le donne e le dinamiche da donna».
 
Ci ha lavorato a lungo?
«Avevo una scaletta molto rigida, ma scrivendolo mi sono resa conto che ho cambiato certe piccole dinamiche emotive che a livello teorico pensavo in un modo e nella pratica si sono sviluppate in maniera diversa. Tutto quello che accade in "La sorella sbagliata" non è mai successo, ma posso aver rubato le emotività di vita: ho perso mia madre quindi quel dolore lo conosco e l’ho inserito, ma per il resto volevo che fosse un libro vero. C’è la tendenza a sminuire le esperienze biografiche sempre per non essere prese in considerazione, soprattutto per le donne. Per questo volevo proprio che fosse un romanzo».
 
Un romanzo al femminile.
«In effetti mi sono concentrata sul mondo femminile: sono quasi tutte donne tranne Ivan l’indiano. Le due sorelle, Rossano è transessuale quindi donna; l'unico uomo è Aldo Moro ma sta sullo sfondo, aleggia di conseguenza al rapimento».
 
Come mai la mamma del romanzo ha l’iniziale maiuscola?
«Per tutti la mamma non ha un nome, per qualsiasi bambino la mamma è mamma, è un nome ripetuto mille volte al giorno».
 
Da cosa ha tratto ispirazione?
«Non da me come madre (ha due figli maschi, ndr.), ma dalla voglia di raccontare la difficoltà di essere fratelli in generale. Quando un fratello è quello bello e l’altro è quello brutto, uno è famoso e l’altro meno, uno è più semplice nella vita e l’altro meno. In questo caso specifico quando una persona è sana e l’altra è disabile. E la disabilità che ho scelto è l’essere spastici».
 
Come mai?
«Chi è spastico è pienamente capace di intendere e di volere, ha solo un problema fisico che lo fa percepire dall’esterno come se fosse ritardato, senza che lo sia. Mi piaceva indagare la difficoltà di essere il fratello sano all’interno di una famiglia, ma anche l’essere la sorella spastica all’interno di una famiglia».
 
Ha inserito la sua vita reale?
«Mia madre ha una sorella spastica, per cui diciamo che ho visto delle cose, ma quello che racconto non c’entra. Nella vita ho fatto e faccio volontariato quindi conosco la dinamica della difficoltà di essere il fratello malato, ma anche quella di essere il fratello sano. L’ho visto in casa ma anche nei luoghi che frequento: mi ha fatto ragionare».
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