Coronavirus, il 15% degli asili nido chiusi dopo il lockdown: per le mamme è addio al lavoro

Coronavirus, il 15% degli asili nido chiusi dopo il lockdown: per le mamme è addio al lavoro
di Stefania Piras
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Sabato 11 Luglio 2020, 06:55 - Ultimo aggiornamento: 16:46

C'è un collegamento tra quell'esercito di 37mila neo mamme che nel 2019, secondo l'Ispettorato del lavoro, hanno dovuto lasciare il lavoro e i nidi vuoti, senza bimbi e che non si sa ancora come e quando riapriranno a settembre? Sì. Quelle donne sono a casa con i bambini. Nel decreto Scuola non si fa mai menzione dei servizi all'infanzia e questo sta gettando nella totale incertezza i lavoratori del settore e le famiglie di chi non avrebbe mai pensato di dover scegliere tra il lavoro e i figli. Eppure è così: le graduatorie dei nidi a Roma e Milano sono sospese, il 15% dei nidi privati che compongono la metà dell'offerta totale dei 354mila posti autorizzati in Italia (su una popolazione di un milione mezzo di bimbi 0-2 anni residenti in Italia) nel frattempo hanno chiuso i battenti. Il nostro Paese è già in ritardo: copre solo il 24,7% del bacino potenziale di utenza. Per L'Europa avrebbe dovuto raggiungere almeno il 33% già nel 2010. E ora quei pochi nidi presenti (circa 13mila) sono deserti, svuotati. Muoiono. Senza rette, la cassa integrazione non è arrivata, senza aiuti dallo Stato, impossibile mantenere il servizio che ad oggi è mascherato da centro estivo. Ma a settembre cosa succederà? Domenico Crea di Crescere Insieme (gestisce 30 strutture tra Lazio, Toscana e Lombardia con 420 addetti e 1600 bambini) è molto preoccupato. «Sembra che ci sia una volontà di escludere gli operatori da questo mercato, non sappiamo cosa dire alle famiglie», dice.

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GLI ABUSIVI
Mancano le linee guida nazionali, si difendono gli enti locali ma intanto proliferano gli abusivi. Giardinetti condominiali, appartamenti, associazioni culturali che improvvisano attività di intrattenimento per i piccoli strizzando l'occhio a quelle mamme, disperate, che non hanno più punti di riferimento. «In mancanza di servizi di qualità c'è un doppio svantaggio per i bambini e per le donne ed emerge una realtà sommersa, variegata, fuori controllo e pericolosa per i bambini», avverte Linda Laura Sabbadini, direttrice centrale dell'Istat, e membro del comitato Colao, che ha scelto di inserire il tema nidi all'interno del capitolo Disuguaglianze nel Rapporto annuale dell'Istituto nazionale di statistica.
Il bonus baby sitting? Un altro modo per impiegare il tempo del bambino dentro le quattro mura, lontano dalla socialità e da quella funzione educativa per cui il 44% dei genitori dichiara di aver scelto il nido come formazione per il proprio figlio. «Ma chi ha assicurato che quella baby sitter potesse muoversi da casa?», si interroga Paolo Uniti, direttore di Assonidi. «Chi ce li ha, sta mandando i figli dai nonni ma diverse mamme hanno disdetto le iscrizioni: professioniste del settore moda, medici, socie di imprese che terranno i bimbi a casa», racconta Cinzia D'Alessandro presidentessa del Comitato EduChiAmo. La vicepresidente della Camera Maria Edera Spadoni ha convocato gli Stati generali dell'occupazione femminile anche per questo, per chiedere di riaprire i nidi e progettarne di nuovi. «Avere nidi disponibili fa la differenza. La differenza tra i servizi e i bonus in denaro è questa: i primi ti mettono in mano delle competenze, i bonus non attivano processi di sfida», commenta Elisabetta Camussi, professoressa di Psicologia sociale all'Università degli Studi di Milano «Bicocca» e membro del comitato Colao. Perché nido e occupazione femminile vanno in tandem: la metà dei genitori dei bimbi che accedono a un nido hanno un titolo di studio alto. Tradotto: lavorano. Se la mamma non trova sbocchi occupazionali o non riesce a conciliare e condividere con il compagno gli impegni invece è facile che assuma lei il lavoro di cura e assistenza. Le motivazioni più frequenti per cui le donne lasciano il lavoro sono: l'assenza di nonni nel 27 per cento dei casi, costi troppo alti di nidi e baby sitter nel 7 per cento. Altro fenomeno distorsivo: l'anticipazione scolastica che in Calabria riguarda il 31% dei bimbi. Le famiglie hanno talmente bisogno di un servizio educativo che tendono a bruciare le tappe, indipendentemente dalla reale propensione all'apprendimento precoce.

L'ANTICIPAZIONE SCOLASTICA
Scelgono cioè di anticipare, rispetto al compimento dei 3 anni, l'accesso dei figli alle scuole d'infanzia, meno costose e non razionate sul territorio. «Anche il rapporto Istat conferma che l'anticipazione nell'infanzia è correlata all'anticipazione nella scuola primaria. E gli studi sull'educazione dicono che è un possibile fattore di insuccesso scolastico futuro», commenta Tullia Musatti, già dirigente del CNR. «Gli asili nido vanno fatti punto. Una delle telefonate che ricevo più spesso è: prof, cosa rispondo al colloquio quando mi chiedono se intendo avere dei figli? La risposta vera che vorrebbero dare è: non lo so, ho studiato finora, voglio mettermi a disposizione della società. I miei studenti maschi non me lo chiedono mai», dice Elisabetta Camussi.
Se fosse un'espressione sarebbe ineffabile, un lungo sospiro che incenerisce sogni e aspettative perché negli ultimi vent'anni, secondo l'Istat, non è cambiato il numero di figli che si desidera avere. È cambiato il numero, si è abbassato, di figli che si hanno poi davvero nella realtà. Quella dove un giorno arrivi a un bivio: o i figli o il lavoro.

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