Angelika Rainer, regina dei ghiacciai: «Lassù io meglio di un uomo»

Angelika Rainer, regina dei ghiacciai: «Lassù io meglio di un uomo»
di Ilaria Ravarino
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Sabato 22 Agosto 2020, 11:39
Con i capelli biondi al vento, e il corpo fasciato dagli abiti tecnici, a guardarla dal basso più che una donna ragno, come la chiamano gli addetti ai lavori, Angelika Rainer sembra una regina dei ghiacci. Da quando è bambina ha imparato a usare piccone e ramponi per arrampicarsi su cascate di cristallo, salendo sopra i 2000 metri con la stessa sicurezza dei colleghi uomini: a 33 anni l'atleta di Merano è la più giovane ad aver vinto una coppa del mondo di arrampicata su ghiaccio, con tre titoli mondiali all'attivo e un documentario sulla sua vita in arrivo (My Upside Down World). Ospite del Trento Film Festival, dal 27 agosto al 2 settembre, Angelika Rainer è la campionessa di uno sport estremo in cui le donne non sono un'eccezione, ma un'eccellenza. Tutta italiana.





Arrampicata e donne: perché l'associazione non sorge spontanea?
«Perché l'immagine che filtra all'esterno è solo quella degli alpinisti di punta, in maggioranza uomini. Eppure tantissime donne arrampicano. Anche meglio di loro».

È un mondo maschilista?
«No. In vent'anni non ho mai avuto un solo problema di molestie. Ho iniziato da bambina, ho scalato con uomini fortissimi. E mi sono sempre sentita accolta e accettata. Alla pari».

A dieci anni era già in parete: a cosa ha rinunciato?
«Non si fanno le ore piccole il sabato sera se si deve affrontare una scalata il giorno dopo. Io vado a letto tra le dieci e le undici. Ma è una scelta, non una rinuncia. E comunque il primo bacio l'ho dato anche io. In spiaggia».

Che rapporto ha col suo corpo? Si piace?
«Sì, ma sarei più felice se il mio corpo fosse accettato anche dagli altri. I muscoli negli uomini vengono accolti come un dono, nelle donne come un indice di mostruosità. Quando entro in canottiera nei bar, mi accorgo dello occhiate dei maschi. E non sono sempre sguardi di complimento. Gli uomini non riescono a far pace con l'idea di una donna forte: mi chiedono che lavoro faccia, mi guardano straniti. Io vorrei potermi sentire bella, magari posare con il mio corpo scolpito. Come fanno loro».

Com'è il suo allenamento?
«Arrampico cinque o sei giorni alla settimana, altrimenti faccio aerobica o corsa. Per le gare iniziavo a ferragosto e finivo a marzo, ma da due anni ho smesso. Mi dedico ai progetti outdoor: provo all'aperto le vie di arrampicata sportiva».

La maternità? Ci pensa?
«C'è una ragazza russa con cui mi sono scambiata molte vittorie (Anna Gallyamova, ndr), che ha fatto due figli e si è presa due inverni di pausa. Le atlete possono conciliare, ma io non penso di volere figli. È una mia scelta».

È uno sport pericoloso?
«L'arrampicata sportiva no. In questi giorni sono in Abruzzo con la mia migliore amica, e suo figlio di dieci anni viene in falesia con noi».

Ha mai avuto paura di morire?
«A volte. Nell'arrampicata su ghiaccio va valutato il rischio in base alle temperature e alle condizioni del luogo. Il ghiaccio è imprevedibile. Nel peggiore dei casi puoi crollare giù con tutta la cascata. Una volta mi si è aperta una spaccatura sotto ai piedi. Sono caduta per un metro, ho avuto paura. Non ero legata».
Il suo amico Tom Ballard è morto scalando il Nanga Parbat. Cosa ha provato?
«Quello che si prova quando si perde una persona amica in un incidente. Sappiamo che quello che facciamo è rischioso, ma il rischio c'è anche andando in macchina».
 
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