La Michelacci non era in aula ieri al momento della lettura della sentenza. C’era il suo legale, un agguerrito avvocato 92enne di Torino, Aldo Perla, arrivato a discutere il caso delle uova di pesce dopo un’udienza a Cuneo per una rapina e un tentato omicidio a Siena. Il giudice deve aver accolto le tesi della difesa e cioè che la Michelacci aveva scritto “caviale” sul menù sulla base dell’ordine che aveva fatto e che era convinta di aver ricevuto, anche se il fornitore aveva inviato invece uova di lompo. E poi che quel menù con l’errore non è mai uscito dal computer, ma è stato stampato e sistemato sui tavoli solo con la correzione. Tutto è nato con un controllo di routine della Forestale il giorno della Vigilia di Natale. La divisa si presenta al Grand Hotel di Gabicce Mare e chiede di vedere il menù. Gli salta agli occhi quel risotto a base di scampi e caviale. Chiede di poter vedere le pregiate uova di storione. E subito si accorge che in realtà sono quelle meno vip (e anche meno costose) del lompo. La titolare dell’albergo ammette all’istante di aver fatto un errore in assoluta buona fede. Fa subito correggere il menù. Ma l’accusa va avanti d’ufficio. E la Michelacci finisce a processo per tentata frode nell’esercizio del commercio. Alla scorsa udienza, oltre all’agente della Forestale e ai dipendenti del Grand Hotel, era stato ascoltato anche il fornitore di caviale, che aveva detto che quando questo finisce, l’azienda invia in automatico le uova di lompo. Non si ricordava però se avesse inviato in automatico anche le variazioni di prezzo. Le impiegate avevano confermato che la Michelacci si era subito prodigata nel far riscrivere il menù corretto.
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