San Benedetto, Ave Palestini: «Lo chiamava il siciliano, mio marito ucciso per gelosia sul lavoro»

Ave Palestini con i figli Jennifer e Yuri (foto Cicchini)
di Rossella Luciani
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Sabato 12 Luglio 2014, 13:02 - Ultimo aggiornamento: 20:16

SAN BENEDETTO - Ho sempre immaginato che il movente fosse per qualche gelosia sul lavoro, si uccide anche per 50 euro purtroppo. Ave Palestini, moglie di Pietro Sarchi non valuta altre ipotesi sul movente dell'omicidio di suo marito, trovato cadavere sabato scorso vicino a una chiesetta sconsacrata nella Valle dei Grilli, tra San Severino e Castelraimondo.

Ucciso con almeno sei colpi di pistola alle spalle e uno alla nuca, a quanto pare da un altro ambulante pescivendolo. Il principale sospettato è il 40enne di origini catanesi Giuseppe Farina. Eppure il marito non le aveva mai parlato di screzi con i suoi concorrenti nella zona di Pioraco, che il 62enne sambenedettese serviva da quarant'anni, continuando la tradizione di famiglia.

«Credo che nemmeno conoscesse Giuseppe Farina di persona - aggiunge - lo chiamava il siciliano, non mi ha mai fatto nome o cognome, sapevo che era un suo concorrente che il martedì lavorava nella stessa piazzetta di Pioraco, mentre Pietro arrivava il mercoledì dopo essersi rifornito a Porto San Giorgio». La moglie fin dal pomeriggio di quel 18 giugno aveva escluso da subito l'allontanamento volontario, poi mano a mano che si sono attivate le ricerche anche l'incidente stradale, «o come si è detto in tante chiacchiere da bar, anche l'amante o la fuga per una vincita - aggiunge Ave - era rimasto ben poco da pensare, per questo dissi subito che probabilmente era stato preso da qualcuno, ma mai pensavo a questa fine».

Ave non riesce ancora a tornare a dormire nella stanza da letto che divideva da quarant'anni con suo marito. Troppi i ricordi e troppo straziante il dolore. «Lo vedo ancora rientrare dalla porta con le buste della spesa in mano. Mio marito era tutto lavoro e famiglia, non c'era nulla di lui che non sapessi e non mi ha mai parlato di screzi con nessuno, tantomeno con queste persone indagate, almeno fino al martedì prima della sua scomparsa. Poi se è successo quel mercoledì dovranno dirlo gli inquirenti o chi ha visto qualcosa».

Intanto ieri i carabinieri sono tornati in casa Sarchié, nella zona di San Filippo Neri, per recuperare alcuni effetti personali dell'uomo, come delle foto e il suo spazzolino. C'è bisogno della saliva della vittima per alcuni test del Dna. I suoi aguzzini si sono infatti accaniti sul cadavere e per cancellare tracce lo hanno semicarbonizzato. Per questo la salma del povero Pietro non è ancora stata riconsegnata alla famiglia e probabilmente i funerali non potranno essere celebrati prima della prossima settimana.

«Non potremo neppure cremarlo come lui desiderava - spiega la figlia Jennifer - perché la salma potrebbe servire in futuro per altri test. Ma io non credo che ci sia tanto altro da capire».

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