Pesaro, Lucia Annibali sfregiata con l'acido
Per il giudice c'era un piano studiato a fondo

Pesaro, Lucia Annibali sfregiata con l'acido Per il giudice c'era un piano studiato a fondo
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Sabato 28 Giugno 2014, 09:51 - Ultimo aggiornamento: 10:36
PESARO - Un piano profondamente strutturato, pensato per limitare i rischi, depistare e dettare un’eventuale linea difensiva capace di arginare le accuse. quello tratteggiato dal giudice Maurizio Di Palma nelle motivazioni alle condanne di Luca Varani, Altistin Precetaj e Rubin Ago Talaban per l’agguato con l’acido a Lucia Annibali del 16 aprile 2013. Motivazioni che hanno portato a condanne di 20 anni per l’avvocato pesarese, accusato di stalking, tentato omicidio, violazione di domicilio e lesioni gravissime e di 14 per i due esecutori albanesi.



Il giudice ripercorre le indagini e le prove raccolte anche prima del fatto. Anche perchè lo stalking andava avanti da mesi tanto che, anche se non era stata formalizzata alcuna denuncia, i carabinieri di Urbino chiamarono informalmente Varani intimandogli di interrompere la persecuzione. Stalking provato da innumerevoli testimonianze, soprattutto di amiche di Lucia ma anche di vicini di casa. Tutti concordi nell’asserire che non era insolito vedere Varani nel garage, sulle scale o nei pianerottoli del condominio a Pantano dove abitava Lucia. Una testimonianza in particolare, poi, assicura che Varani avesse le chiavi dell’appartamento anche dopo che, nel novembre 2012, Lucia aveva fatto cambiare la serratura. Un punto essenziale, quello delle chiavi. La Procura è sicura che Varani le avesse anche se non è chiaro come se le fosse procurate (l’ipotesi più fondata è un furto negli spogliatoi della piscina frequentata anche da Lucia) ed è proprio su questo frangente che si baserebbe una delle scappatoie del piano. Nelle intenzioni l’aggressione sarebbe dovuta apparire come compiuta da un ladro sorpreso sul fatto. In questo senso andava anche il buco sull’infisso denunciato da Lucia pochi giorni prima. Buco classico per un’effrazione, ma che da subito non convinse gli investigatori: le evidenze raccontavano come quel foro fosse stato fatto dall’interno. La ricostruzione legata ad un furto degenerato è contenuta, tra l’altro, anche in un manoscritto che Varani, dal carcere, voleva far arrivare agli albanesi. Dovevano raccontare di essere stati assoldati per danneggiare con l’acido l’auto di Lucia, ma non trovandola avrebbero deciso di rubarle in casa per poi essere sorpresi fino alla terribile conclusione. Cioè la versione “definitiva” (che conteneva anche un disegno dell’infisso e del buco) di Varani, che in precedenza prima aveva cercato di avvalersi dell’alibi, poi di negare ogni collegamento con i due albanesi. Prove e testimonianze dimostrerebbero invece una conoscenza, almeno per quanto riguarda i collegamenti Varani-Precetaj e Precetaj-Talaban. Sulle linee difensive, poi, il giudice allega un’intercettazione di Talaban mentre dice alla sorella: «Incontra il difensore... quello che difende.. quello straniero e dirgli di pagare il mio difensore... per le mie spese... altrimenti io punterò il dito». Secondo il giudice, però, nulla è degenerato, anzi il piano si è svolto come programmato, rallentato solo dalla scoperta di Precetaj con una bottiglia di acido da parte della Polizia. Lo stesso 27 marzo 2013 in cui Varani rottamò la sua Smart, salvo poi ripensarci asportando le parti rovinate. Tutte prove, secondo il giudice, che arricchisce il quadro probatorio con le testimonianze che smentiscono le varie versioni di Varani, ricordando anche come, la sera dell’arresto, lo stesso Varani abbia cercato di sfuggire ai carabinieri.
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