Pesaro, il Mediterraneo di milioni di anni fa
"scritto" sulle rocce del San Bartolo

Pesaro, il Mediterraneo di milioni di anni fa "scritto" sulle rocce del San Bartolo
di Luigi Benelli
3 Minuti di Lettura
Martedì 22 Luglio 2014, 09:26 - Ultimo aggiornamento: 09:29

PESARO - Quei fossili del San Bartolo che ci parlano del disseccamento del Mediterraneo, perch lo stretto di Gibilterra si era temporaneamente chiuso. Il primo studio al mondo sul fenomeno arriva dal territorio pesarese.

Una nuova campagna di scavi al giacimento fossilifero del Monte Castellaro, all'interno del Parco San Bartolo, è stata portata avanti dall'8 all'11 luglio 2014, da una equipe inter-universitaria coordinata dalla direttrice del Museo Paleontologico “L. Sorbini” Nicoletta Bedosti. Nel corso degli scavi sono stati raccolti esemplari di pesci fossili, affetti da gigantismo osseo. Si tratta del primo studio al mondo compiuto attraverso una raccolta di esemplari su tutti gli strati geologici riferibili al fenomeno del disseccamento del Mediterraneo.



La Bedosti, il direttore di scavo dell’Università di Urbino Rodolfo Coccioni e Walter Landini dell’Università di Pisa spiegano l’importanza dei ritrovamenti. “Si tratta di alcuni ittioliti (pesci fossili), quali Clupeidi (sardine), Gadiculus (pesce fico), Mictofidi (pesci lanterna) e Cyprinodontidi (Aphanius crassicaudus, Nono o Bottacchio). Sono state rinvenute filliti (foglie fossili), coproliti (escrementi fossili) e numerose larve di libellula”. Non sono solo nomi, ma indicatori. “I reperti fossili in generale raccontano il clima del passato quali animali e vegetali siano esistiti, in questo caso, dai 10 ai 6 milioni di anni fa circa; ma i pesci fossili di laguna, in particolare, rinvenuti negli strati alti del giacimento, ci offrono una fotografia di come era il livello del mar Mediterraneo 6 milioni di anni fa, circa, quando per una temporanea chiusura dello Stretto di Gibilterra, il mare rimase isolato dall’Atlantico e a causa della forte evaporazione iniziò ad abbassarsi il suo livello fino quasi a disseccarsi. Gli Aphanius crassicaudus, si trovarono a nuotare in acque divenute più dense a causa dell’eccesiva salinità e come fenomeno adattativo svilupparono uno scheletro grosso, compatto, pesante. Da anni la comunità scientifica internazionale studia per fornire una spiegazione sull’origine di una tale ossatura, in un pesce così piccolo (6 cm). Grazie ai recenti ritrovamenti al giacimento di Castellaro effettueremo uno studio di esemplari sia affetti da gigantismo, sia a scheletro sottile seguendo un trend di età stratigrafica delle rocce, ossia dai livelli più antichi risalenti all’inizio della crisi di salinità del Mar Mediterraneo, a quelli più recenti, corrispondenti alla fase di laguna vera e propria, prima che lo stretto di Gibilterra si riaprisse e l’acqua dell’Oceano riempisse nuovamente il Mare Nostrum”.

I pesci fossili ora si trovano al Museo paleontologico di Fiorenzuola di Focara dove verranno studiati al microscopio, mentre le ossa verranno studiate dal Museo delle Scienze Biomediche di Chieti.

© RIPRODUZIONE RISERVATA