Nigeriano ucciso a Fermo, ultrà fermato per omicidio: ecco chi è

Nigeriano ucciso a Fermo, ultrà fermato per omicidio: ecco chi è
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Giovedì 7 Luglio 2016, 10:18 - Ultimo aggiornamento: 8 Luglio, 14:15

Quella di Emmanuel Chidi Nadi, il migrante morto dopo il pestaggio da parte di un ultrà, è una drammatica storia di libertà. Sono parole del ministro dell'Interno Angelino Alfano, che ha partecipato alla riunione del comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica presso la Prefettura di Fermo, per annunciare il riconoscimento della protezione umanitaria per la compagna di Emmanuel e per dare un segnale «forte e chiaro» da parte del Governo, come ha twittato anche il premier Renzi: «evitare il contagio» di razzismo e intolleranza. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha esortato ad aiutare la giovane vedova, che intanto, oltre alla protezione umanitaria, dovrebbe avere una borsa di studio per completare gli studi universitari di medicina. 

 

Razzismo e intolleranza esplicitamente riconosciuti nell'ipotesi a carico di Amedeo Mancini, il 39enne che ha insultato la compagna di Emmanuel, dandole della «scimmia africana», fermato per omicidio preterintenzionale con l'aggravante della finalità razzista. «Mancini - ha detto Alfano in un discorso dai toni molto duri - non rappresenta l'Italia, L'Italia è rappresentata dalle lacrime e dal dolore del sindaco di Fermo Paolo Calcinaro», che ha preso parte al comitato. Il ministro ha dedicato invece parole toccanti a Emmanuel e alla sua compagna, fuggiti dalle persecuzioni ai cristiani in Nigeria, («cristiani come me», ha osservato Alfano), arrivati in Italia dopo altre violenze in Libia e una difficile traversata, «promessi sposi» grazie a don Vinicio Albanesi, che non potendo unirli in matrimonio per questioni burocratiche, ha rispolverato l'istituzione medioevale della promessa di matrimonio. «Ma il sogno d'amore e di libertà di Emmanuel e Chimyery - ha aggiunto - è stato infranto dalla violenza di un italiano, pluripregiudicato e 'daspatò».

La dinamica del fatto è ancora al vaglio della magistratura, che ha ascoltato Chimyery e Mancini. Due le versioni offerte dai protagonisti e da alcuni testimoni: l'unico punto in comune sono gli insulti razzisti rivolti alla ragazza. Ma secondo lei, l'aggressione sarebbe avvenuta ad opera di Mancini, che avrebbe divelto un paletto della segnaletica stradale e colpito il suo compagno, facendolo finire in coma irreversibile. Secondo il difensore del 39enne ultrà della Fermana, l'avv. Francesco De Minicis, l'episodio si sarebbe svolto in tre fasi: le offese alla ragazza, l'aggressione da parte di Emmanuel all'italiano, che avrebbe reagito, colpendolo con un pugno al volto. Una dicotomia che sembra riflettere le reazioni in città, tra chi definisce Mancini, da sempre simpatizzante di estrema destra, un uomo aggressivo, ma buono d'animo, insomma «uno di noi» e chi, invece, lo ritiene una mina vagante. Un quadro che fa osservare a don Vinicio che il fatto, così come gli attentati con ordigni esplosivi alle chiese di Fermo, rientra in «un magma di violenza, frustrazione, esibizionismo», in parte coperti e tollerati da «un clima melmoso».

Ma la morte di Emmanuel, quasi esemplare nella sua drammaticità, con la compagna che in lacrime chiede «giustizia», ha toccato un nervo scoperto nella coscienza dei cittadini e in quella dei politici, con una valanga di reazioni. La presidente della Camera Laura Boldrini invita a «espellere l'odio dalla politica». E il presidente del Senato Piero Grasso, da Lampedusa, a mostrarsi «più forti dell'odio insensato». «L'assassino deve marcire in galera. L'aggredito era uno dei pochissimi rifugiati veri, stando ai dati sono 4 su 100 e questo era uno dei quattro» dice Salvini. Per Emmanuel il sindaco di Fermo ha proclamato il lutto cittadino martedì, quando è in programma una fiaccolata. Domani l'autopsia sulla vittima.

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