Per questo ieri mattina, è stato fatto l’incidente probatorio in Tribunale a Pesaro sull’esito delle perizie svolte dal consulente nominato dal giudice e quello delle parti, del pm Giovanni Narbone e dell’indagata. L’esperto superpartes ha messo in evidenza il ritardo nell’individuare la patologia. Ora tocca al pubblico ministero mettere insieme gli esiti degli esami e provare a dimostrare la relazione tra quella morte e la colpa della dottoressa che rischia l’accusa di omicidio colposo. Tutto comincia nel febbraio 2009, quando la giovane donna fanese ha una copiosa emorragia e decide perciò di rivolgersi alla ginecologa. Il medico, secondo quanto avrebbe scritto la stessa paziente prima di morire, le dice di aspettare. Il tempo passa e la perdita di sangue si ripresenta. La donna ritorna dal suo medico e anche questa volta la risposta è la stessa. A un certo punto la paziente decide di rivolgersi a un altro ginecologo di Senigallia. Questa volta viene sottoposta ad alcuni esami e purtroppo la diagnosi è tutt’altro che positiva: carcinoma all’utero. Immediato il ricovero al centro tumori di Milano dove viene sottoposta a diversi cicli di chemioterapia. I medici del nosocomio lombardo ritengono di non doverle togliere l’utero. Nel frattempo la terapia non provoca gli effetti sperati. La donna si aggrava e a novembre muore. La ginecologa nega che la 32enne fosse una sua paziente di lungo corso. Eppure risulta che avesse in cura anche la sorella. Fatto l’incidente probatorio, ora al pm Narbone spetta la ricostruzione in punto di diritto dell'intera vicenda.
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