Cartoceto, nuovo attacco dei lupi
Uccise 10 pecore, allevatori esasperati

Cartoceto, nuovo attacco dei lupi Uccise 10 pecore, allevatori esasperati
di Andrea Perini
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Sabato 30 Agosto 2014, 10:13
CARTOCETO (Pesaro e Urbino) - Lupi nell’azienda Beltrami di Cartoceto. Bottino grasso per il predatore dell’Appennino con dieci capi di bestiame, tra pecore e agnelli, sbranati o scomparsi.



Il problema lupi sta assumendo le dimensioni di una vera e propria piaga per le tante aziende del settore primario della provincia che, con cadenza ormai settimanale, vedono i propri animali sbranati. Questo infatti è solo l’ultimo, in ordine cronologico, degli attacchi ai greggi che i lupi portano alle aziende posizionate nelle colline della provincia. È di due settimane fa l’attacco portato ad una azienda di Montebaroccio che si è vista privata di otto capi tra pecore e agnelli. Un problema che sta assumendo proporzioni mai raggiunte prima. Questo, per l’azienda Beltrami, è il terzo attacco subito in poco tempo, e ciò che rende inquieti è il fatto che ancora una volta l’attacco è avvenuto a poca distanza delle abitazioni, come già accaduto il mese scorso a Frontone. «Sale il conto dei danni e con esso l’esasperazione dei nostri allevatori rispetto a una situazione che la pubblica amministrazione non sembra in grado di risolvere – denuncia Tommaso di Sante, presidente di Coldiretti Pesaro Urbino-. Gli attacchi continuano a verificarsi mentre alcune aziende devono ancora ottenere gli indennizzi del 2011, soldi che peraltro non coprono che una parte del danno. E l’ultima bozza di delibera predisposta dalla Regione Marche minaccia di peggiorare ulteriormente la situazione, sia dal punto di vista del carico burocratico per le aziende sia da quello della disponibilità di fondi». Paolo De Cesare, direttore di Coldiretti Pesaro Urbino, rincara la dose: «Fare impresa nelle aree interne è sempre più difficile e l’incapacità della politica a porre un freno al problema dei selvatici rischia di costringere le aziende a chiudere i battenti. In questo modo si metterebbe a rischio non solo l’economia delle zone montane, ma la stessa possibilità di prevenire il dissesto idrogeologico, venendo meno la costante opera di manutenzione svolta dagli agricoltori».
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