Ascoli, l'addio a Vittori. Il sindaco Castelli: «Non perdonò mai Nebiolo»

Ascoli, l'addio a Vittori. Il sindaco Castelli: «Non perdonò mai Nebiolo»
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Sabato 26 Dicembre 2015, 11:13 - Ultimo aggiornamento: 11:34
Ascoli Piceno dice addio oggi nella Chiesa di Sant'Angelo Magno a Carlo Vittori, il preparatore atletico che ha fatto grande Pietro Mennea e l'atletica leggera italiana. Il sindaco Guido Castelli lo ricorda come il «burbero benefico dello sport: lottò tutta la vita in difesa dello sport pulito, era nemico giurato di ogni forma di doping - dice - e aveva una capacità tecnico-professionale unica. Dell'una e dell'altra cosa ebbi la fortuna di parlare in diverse occasioni con il professor Vittori. Scontroso fino a rasentare la misantropia, ma appassionatissimo quando raccontava del suo passato straordinario da uomo di sport».

L'irriducibile avversità di Vittori ad ogni forma di doping «lo portò a troncare i rapporti con molte personalità illustri del movimento sportivo italiano. Come nel caso di Primo Nebiolo, storico presidente dell'atletica leggera italiana e mondiale con il quale, in verità, i rapporti non erano mai stati idilliaci (anche per la gestione del Centro di Formia)». «Il professore - continua il sindaco - mi disse di avergli definitivamente tolto il saluto quando Ben Johnson, scoperto positivo alle Olimpiadi di Seoul del 1988, confessò che l'anno prima ai mondiali di atletica in Italia (Roma 1987) potè doparsi senza che nessuno se ne accorgesse. “Bei controlli!” commentò Vittori, che non perdonò a Nebiolo di aver coperto di ridicolo l'organizzazione italiana. Ma “non fu mai solo una colpa italiana”, diceva».

Vittori spiegava che in tutte le Olimpiadi cui aveva preso parte come atleta (Helsinki 1952) o come preparatore, accadevano cose strane: “solo i tedeschi a Monaco 1970 imposero regole ferree che vennero rigorosamente rispettate. Alcuni gendarmi, brandendo il calcio di un fucile, presidiavano gli spazi dedicati agli esami antidoping, impedendo fisicamente ai preparatori di accompagnare i loro atleti ai prelievi e magari di sostituire le provette. Solo i tedeschi lo fecero, li ho ammirati per questo”, mi disse, in un'Olimpiade che poi venne
ricordata solo per la strage terroristica di Settembre nero».
 
Ma il suo mondo non fu solo l'atletica: «Con i suoi metodi scientifici, e la sua notoria intransigenza tecnica, frequentò anche il calcio. Mi parlava dell'esperienza alla Fiorentina: la squadra gigliata aveva acquistato dal Vicenza un giovane talentuosissimo che era però afflitto da un grave infortunio che avrebbe potuto comprometterne la carriera. Quel giovane si chiamava Roberto Baggio. «Mi spiegò - prosegue Castelli - che la muscolatura di una delle gambe di Baggio era così lesionata da essere inferiore di sette centimetri rispetto all'altra. L'allora presidente della Fiorentina, Baretti, era disperato per aver comprato una grande promessa (a 20 anni, Baggio fu pagato due miliardi di lire) ridotto praticamente al capolinea. Vittori salvò il patrimonio della società e regalò al calcio italiano uno dei suoi più grandi campioni».

Castelli conclude: «Grazie professore per tutto quello hai
dato allo sport italiano. Odiavi i fronzoli e la retorica: anche
per questo eri rispettato da una città che non ha mai smesso di
essere orgogliosa di te».
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