Umberto Eco/ Originale in tutto, ma in politica seguiva il pensiero dominante

di Mario Ajello
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- Ultimo aggiornamento: 21 Febbraio, 00:00
Tra parodie e autoironie, geniali intuizioni e grandi rappresentazioni, è stato politicamente scorretto in tutti i campi Umberto Eco. Ma in quello della politica, un po’ meno. È come se l’originalità che gli apparteneva in tutto, si fosse presa delle pause perfino moralistiche quando Eco si trovava a parlare della destra - ossia il male continuamente annidato nell’antropologia italiana sotto forma di “Ur-fascismo” cioè di fascismo eterno - e della sinistra, il mondo dei migliori, cioè dell’“altra Italia” magari minoritaria ma culturalmente dotata a dispetto delle masse inconsapevoli e teledipendenti. Quelle, «il 75 per cento degli italiani», che «non vogliono pagare le tasse, amano correre a 200 all'ora in autostrada e vogliono evitare carabinieri e giudici».
 
Di questa Ur-Italia, opposta all'Italia ulivista 1997 del convegno monacale di Gargonza in cui Eco propose ai leader di sinistra di ispirarsi ai "Tre moschettieri" e di battere i Richelieu alla D’Alema ma soprattutto alla Berlusconi. E naturalmente il Re Fustino di Arcore è stato il grande piazzista agli occhi del professore. Al quale i tic e le ovvietà del pensiero mainstream sono state antipatiche, e le ha benissimo smontate, per esempio in fatto di letteratura. Basti pensare a come Eco prese le difese del bullo Franti contro la melassa deamicisiana e assunse questa posizione anti convenzionale non sull’onda del sessantottismo ribelle ma molto prima: nel 1962. Nel 1975, invece, si sarebbe schierato senza se e senza ma - in compagnia di buona parte dell’intellighenzia italiana - al fianco degli estremisti di Lotta Continua fatti arrestare dal procuratore di Torino. Al quale Eco e gli altri rivolsero una lettera famosa di questo tenore: «Quando i cittadini da lei imputati gridano “lotta di classe, armiamo le masse”, noi lo gridiamo con loro». In quei terribili anni '70 non mancarono amici e colleghi di Eco che - pur riconoscendogli nessuna indulgenza neanche vaga verso le P38 - lo trovavano eccessivamente comprensivo nei confronti delle pseudo motivazioni sociali che stavano alla base di quella non formidabile stagione. 

Non è riuscito ad essere spiazzante in politica questo grande personaggio. E non ha giovato alla comprensione dell’Italia, da parte della sinistra, quella sua teoria di successo secondo cui il voto berlusconiano si divideva in due categorie: quello dell’Elettore Motivato, tutt’altro che stupido ma clamorosamente privo di moralità, e quello dell’Elettore Affascinato, certamente scarso di intelligenza e per giunta anche lui eticamente flaccido. E via così: un pizzico di fantasia in più, una quantità almeno modica dell’irrefrenabile curiosità di Eco avrebbero giovato in campo politico sia al titolare sia ai milioni di suoi fan. Che su ogni argomento lo hanno visto così fuori dagli schemi e così appassionatamente intento a contaminare tutti i linguaggi e tutte le culture senza freni inibitori, da vero illuminista bizantino, ma allo stesso tempo lo hanno scoperto rigido e prescrittivo per esempio quando firmò su "Le Monde" nel '93 il manifesto per isolare internazionalmente gli esponenti della Nouvelle Droite, che in quegli anni cominciavano a intrattenere scambi culturali con pensatori di sinistra. Poco dopo spiegò che «il pensiero é una vigilanza continua. Uno sforzo per discernere ciò che è pericoloso anche in circostanze e discorsi all’apparenza innocenti». Verrebbe da dire che questo Eco è un Eco senza Eco. Mentre lo si ritrova di più nel gioco di parole alla Hemingway del suo appello elettorale per il centrosinistra guidato da Rutelli nel 2001: «Per chi suona la campagna». O nella battuta snob, sulle serate galanti del Cavaliere, del 2011 alla riunione del Palasharp milanese: «Anche io vado a letto tardi, ma perché leggo Kant». Ovazione da stadio per il super-prof, che pure ha sempre detto di diffidare degli intellettuali impegnati («L'unica cosa che può fare un sapiente, quando la casa brucia, é chiamare i pompieri!») ma é stato uno di loro. A modo suo, naturalmente. Come se la politica fosse uno dei suoi adorati fumetti e lui un personaggio da cartoon che magari, sotto sotto, non voleva essere preso troppo sul serio. 


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