"Il lavoro da remoto", per una riforma dello smart working oltre l'emergenza. Il libro di Michel Martone

"Il lavoro da remoto", per una riforma dello smart working oltre l'emergenza. Il libro di Michel Martone
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Lunedì 26 Ottobre 2020, 13:40 - Ultimo aggiornamento: 13:42

Dalla notte dei tempi spetta al linguaggio interpretare la realtà che si dipana davanti ai nostri occhi. Ci affidiamo alle parole per restare aggrappati allo scenario e in questo frangente storico un neologismo su tutti, smart working, coglie il mutare delle cose. Saperne interpretare le sfumature e gli sviluppi è un passo essenziale, come dimostra il volume Il lavoro da remoto. Per una riforma dello smart working oltre l'emergenza, a cura di Michel Martone, (edito dalla Tribuna, dal 30 ottobre in libreria, pp.288, 19 euro), affiancando lo studio del contesto normativo a diversi ipotesi di riforma dello smart working, citando quattro casi di studio e dando spazio a ventisette autorevoli interventi d'autore, fra cui il sociologo del lavoro Domenico De Masi, Paola Ferrari (professore associato presso La Sapienza), Francesco Le Foche (immunologo e responsabile Day Hospital al policlinico Umberto I), gli avvocati del Foro di Roma - Gianluca Lucchetti, Vittorio Menicocci, Antonella Panetta - e il professor Marco Leonardi, consigliere del Ministro dell'Economia e della Finanza, Alvise Zanardi, direttore generale Il Messaggero Spa.


PASSO EPOCALE
La remotizzazione del lavoro è un passo epocale soprattutto a livello concettuale scrive Mattia Persani, professore emerito di Diritto del Lavoro presso La Sapienza e co-curatore della collana editoriale con Franco Carinci ecco che il lavoro subordinato si fa remoto, non si svolge fisicamente nell'impresa ma in un luogo diverso ovvero presso il proprio domicilio; ma ciò esige un adeguamento della normativa vigente affinché questo fenomeno che oggi interessa milioni di lavoratori in Italia possa costituire un vantaggio stabile nel tempo.
MODERNIZZAZIONE
«L'affermazione globale del distanziamento fisico come principio di organizzazione sociale» - scrive Michel Martone, viceministro del Lavoro nel governo Monti e oggi professore ordinario di Diritto del Lavoro alla Sapienza - ha cambiato radicalmente le carte in tavola, facendo «crollare in un batter d'occhio tutte le distinzioni fra vita lavorativa e vita privata che avevano segnato il Secolo del Lavoro».
Sì, la pandemia ha avuto un effetto dirompente, «offrendo una chance da non perdere per la modernizzazione di un sistema produttivo» che può far leva su un bacino di «utenti alfabeticamente digitalizzati», consentendo alle imprese un notevole risparmio economico e aprendo le porte a nuove collaborazioni da remoto. Ipotesi sino a ieri certamente possibili ma ancora osteggiate dalla forma mentis dominante.
«È palese il bisogno di normalizzare l'esperienza vissuta in fase emergenziale», scrive Laura Di Raimondo - direttore di Assotelecomunicazioni, l'associazione di categoria che in Confindustria rappresenta la filiera delle telecomunicazioni - magari dando vita ad «un nuovo patto intergenerazionale, accelerando il processo di cambiamento» mentre Pier Luigi Celli ex direttore generale della Rai e presidente di Sensemakers, società che fornisce consulenze sulle attività digitali alle aziende - sottolinea la necessità di ripensare e adeguare le tutele del lavoro tradizionale alle esigenze del mondo da remoto, per non scalfire la produttività nell'ottica di «una nuova cultura digitale».
Dai concetti alla loro applicazione pratica si parla con Alvise Zanardi, direttore generale Il Messaggero Spa, che spiega la strategia attuata dal gruppo editoriale Caltagirone per «tutelare la salute dei propri dipendenti e assicurare la continuità produttiva» delle sei testate giornalistiche. Zanardi sottolinea l'importanza della costituzione di «un team di lavoro multifunzionale molto ristretto, composto di competenze tecnologiche, organizzazione del lavoro e sicurezza di 4-5 persone», avviando un piano d'azione per «un'operazione di remotizzazione totale che prima del Coronavirus era inimmaginabile». E in vista del futuro, considera che «alcuni elementi del remote working forse potranno continuare ad essere utilizzati» in contesti professionali «con propria capacità di autonomia decisionale e in grado di fornire feedback strutturati e ricorrenti».
SÌ AGLI INTERVENTI
Ma ampliando il discorso al sistema Paese è Michel Martone ad evidenziare il rischio che il Governo scelga di non intervenire, «limitandosi a prorogare la disciplina emergenziale senza disporre alcuna modifica della legge sullo smart working che ne subordina l'adozione al consenso di ciascun lavoratore». Ventotto interventi nei quali si palesa la necessità di cogliere al volo l'occasione di leggere il cambiamento del mondo del lavoro e agire, costruendo oggi le infrastrutture - giuridiche e tecnologiche - per il mondo che verrà.
F. M.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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