Sentinella della pioggia, ecco l'undicesima puntata sul Messaggero

Sentinella della pioggia, ecco l'undicesima puntata sul Messaggero
di Tatiana De Rosnay
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Martedì 13 Agosto 2019, 11:11 - Ultimo aggiornamento: 16 Agosto, 21:59

Tilia lo tempesta di domande. Può raccontarglielo da capo? Come ha reagito Paul esattamente? Cosa hanno detto i medici? Linden non lo sa, le ricorda che l'ospedale sta per essere evacuato, lo staff è indaffaratissimo. Tilia fa su e giù per la stanza, zoppicante, irritata. Linden sa che di lì a poco litigheranno. Perché non va lei in ospedale a parlare con i medici? Sa che la frase la farà infuriare. Con sua sorpresa, invece di attaccarlo Tilia china il capo e inizia a singhiozzare. È sbigottito. Da quant'è che non la vede piangere? Quand'erano piccoli non piangeva mai. Era quella tosta. Mistral cinge con il braccio la madre. Lui non sa cosa dire. Tilia alza gli occhi per guardarlo, il viso arrossato e gonfio.
Non capirai mai. Nessuno può capire minimamente.

Cos'è che non può capire? Perché sta piangendo? Tilia è un tale mistero. Linden si siede sul pavimento, sotto la sorella appollaiata sul letto.
Perché non ce lo spieghi?
Tilia geme che non può. È troppo difficile.
Mistral la fa sdraiare sul letto. Il respiro di Tilia si calma mentre la figlia le asciuga le lacrime.
Inizia a parlare. Non ha mai detto a nessuno quello che sta per dire.

Erano cinque migliori amiche: Laurence, Valentine, Sylvie, Sonia, e lei. Avevano venticinque anni. Valentine si sarebbe sposata quell'estate. Era aggraziata, con i capelli ricci. Le avevano organizzato l'addio al nubilato. Sylvie era la più sfrenata del gruppo. Piaceva parecchio agli uomini. Sonia era tenebrosa, l'intellettuale. Aveva appena trovato lavoro per una rivista famosa. E poi c'era Laurence, veniva da una famiglia di prestigiosi vinai di Bordeaux e sapeva tenerti la mano quando eri giù. Tilia le aveva conosciute la sua prima estate a Biarritz, quando nel 1998 era andata a vivere lì con il suo primo marito Eric. Era l'unica ad avere una figlia, ma non si sentiva diversa dalle altre. Erano le sue amiche, sapevano tutto di lei.

Tilia si ferma a lungo. È la prima volta che parla di quella notte.
Non ricorda chi avesse scelto quel ristorante fuori città. Era un evento speciale e doveva essere diverso dalle altre sere, memorabile. Si era bevuto molto vino. Erano serene perché sapevano che un autista le avrebbe riportate in città in un minivan. Si godevano la serata. Sollevando l'ennesimo bicchiere avevano giurato che non si sarebbero mai perse di vista.
Il telefono squilla all'improvviso, facendoli sussultare. Mistral risponde. Mormora qualche parola, poi riaggancia. Non è importante.
Tilia riprende a parlare. Era successo poco prima di arrivare a Biarritz. La radio era a tutto volume; cantavano a squarciagola una canzone che non sarebbe mai più riuscita ad ascoltare. Dancing Queen degli Abba.
Poi, il suono insopportabile e spaventoso dell'incidente: il cigolio dello sterzo, l'assordante frantumarsi del vetro. Il cuore che le va in gola mentre il veicolo vola in aria e si spezza con la facilità con cui una lama affetta un melone.

Tilia non ha perso subito conoscenza. Era a testa in giù? Non capiva. L'unica cosa che riusciva a vedere erano capelli, spire infinite di capelli che le confondevano la visuale. Perché erano così tanti? Che cosa avevano fatto le altre con i loro capelli? Oltre alla puzza del suo stesso vomito, sentiva un odore molto più spaventoso, di latta e di carne. Era l'odore del sangue fresco. Voltando il capo aveva visto il viso di Valentine contro la sua spalla, sembrava dormisse. Aveva mosso un braccio per carezzarle la pelle in un gesto di conforto. Se la sarebbero cavata, no?
La voce di Tilia è ridotta quasi a un lamento. Aveva premuto la mano contro la guancia di Valentine e lei di colpo era caduta sulle sue ginocchia, in una cascata di riccioli arruffati. La verità l'aveva colpita come un pugno. In grembo aveva la testa di Valentine. Quanto era rimasta lì distesa, urlando aiuto, in quella massa di capelli e sangue? Era sembrata un'eternità. Poi qualcosa di mostruoso le si era insidiato dentro, attorcigliandosi in gola, impedendole di respirare. Aveva provato a combatterlo, ma poi aveva ceduto. Aveva pensato fosse la morte.

Ripresa conoscenza, Tilia era in ospedale. I medici all'inizio non glielo avevano detto. Non le avevano detto che le ragazze erano tutte morte, che erano morti anche l'autista e l'automobilista ubriaco che gli era piombato addosso. Non riconosceva nessuno. Non sapeva che i medici avevano dovuto ricostruirle gran parte della gamba e anca sinistra, che non sarebbe più riuscita a camminare bene.
Quando si era ripresa come si deve, glielo avevano detto. Era stato uno shock. Perché lei? Perché era stata l'unica a sopravvivere? Non era mai stata così arrabbiata in vita sua. L'unica sua gioia era la piccola Mistral che, a quasi cinque anni, sembrava capire più di chiunque altro quello che stava passando.
Tilia allunga un braccio per carezzare il viso della figlia. Magica Mistral, se lo ricordava il suo soprannome? Grazie a lei a poco a poco era riuscita a stare meglio.

Un anno dopo, quando riusciva a zoppicare in giro con le stampelle, era andata a trovare le famiglie delle ragazze, i loro fidanzati. Erano stati tutti gentili con lei. Aveva visitato le quattro tombe ed era andata sul luogo dell'incidente. C'era una grande chiazza nera sulla strada che le aveva fatto venire i brividi.
Non ne aveva mai parlato con nessuno; aveva preferito tenerlo segreto, sepolto dentro di sé. Era andata avanti con la sua vita. Nel 2008 aveva divorziato da Eric e si era trasferita a Londra con Mistral. Pensavano tutti che avesse superato la cosa, e invece no. Aveva incubi orrendi, della testa di Valentine che le cadeva in grembo.

Quando aveva sposato Colin, nel 2010, pensava di potersi lasciare tutto alle spalle. Di poter fare affidamento su un uomo che l'avrebbe protetta. Quanto si sbagliava.
E ora eccola lì, quasi quarantenne, un'artista mancata, la moglie infelice di un alcolizzato, incapace di andare a trovare il padre in ospedale.
Tilia inizia a ridere, una risatina sarcastica che li fa sussultare. Si dondola sul letto e dopo un po' Linden non capisce più se rida o pianga. Il peso delle rivelazioni di Tilia lo schiaccia. Abbraccia con affetto sorella e nipote, mormora che gli dispiace, che è una storia terribile, e va via.
Per un po' se ne sta appoggiato alla parete del corridoio. Non riesce a togliersi dalla testa le immagini evocate dalla sorella. Poi scende giù.
Nella lobby, una figura elegante, fradicia di pioggia, gli va incontro.
Amico mio. Sono qui che aspetto da secoli!
L'inconfondibile accento britannico di Colin Favell, suo cognato.

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