Roberto Costantini e la sua nuova spy story: «L'intelligence ha molto da imparare dalle donne»

La serie tv francese di spionaggio Le Bureau
di Riccardo De Palo
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Giovedì 11 Febbraio 2021, 21:33

«Ian Fleming ha influenzato molto la narrativa di spionaggio, più di John le Carré. Ma le storie di James Bond sono l'equivalente di Guerre Stellari o Indiana Jones: se un agente 007 esistesse davvero, morirebbe dopo una settimana. Le storie reali sono quelle raccontate da le Carré». A parlare è Roberto Costantini: Longanesi ha appena pubblicato il suo secondo libro dedicato all'agente segreto Aba Abate, nome in codice Ice, ghiaccio. Un romanzo che punta molto sul capitale umano, l'analista dei servizi divisa tra una vita privata pressante e un lavoro che non può neppure nominare.


Una famiglia è incompatibile con un lavoro del genere?

«No, non credo. Ma in una famiglia simile l'equilibrio è molto diverso. Aba finge di essere un'impiegata ministeriale. Si è scelta un marito particolarmente fiducioso, uno che pensa sempre ai fatti suoi, con la testa tra le nuvole. Con uno di quelli che chiedono continuamente dove sei stata?, cosa hai fatto? sarebbe impossibile».

Però in famiglia, per Aba, si mette male.

«Esistono delle forti ragioni per restare insieme, almeno finché i figli non sono cresciuti e indipendenti. Il suo matrimonio è andato bene, ma poi lei commette un errore fondamentale, mentre è presa da cose importanti: lo butta tra le braccia della sua migliore amica».

Quindi, dopo vent'anni di matrimonio, lo mette alla porta.

«La situazione la pone di fronte a un dilemma. Il problema non è che il marito l'abbia tradita, ma il fatto che lui non sia felice. E lei con uno che non è felice non ci vuole vivere».

Il suo romanzo cerca di migliorare l'immagine della donna spia: dai tempi di Mata Hari cosa è cambiato nell'immaginario collettivo? Aba deve difendersi spesso dal maschilismo, incluso quello di alcuni suoi colleghi.

«Si parla di una donna che usa la sua intelligenza e non certo il suo fisico. Oggi fortunatamente ci sono grandi progressi ma Aba trova comunque inevitabili scetticismi».

Aba rappresenta l'intelligence di oggi?

«Aba è molto vicina alla linea di Smiley, alla realtà del lavoro dei funzionari, non degli operatori sul campo. Non fa la vita di James Bond e non ha nemmeno la capacità di sparare o saltare dagli elicotteri. Siamo nel campo della realtà, fare analisi significa occuparsi di indagini di cybesecurity molto importanti, di scovare nella Rete tracce di terrorismo».

Ma poi qualcosa va storto.

«Sì, Aba si trova per la prima volta nella sua vita in un'operazione sul campo, in cui viene trascinata da una serie di eventi che non riesce a controllare, e questo la  porta in una situazione di pericolo. Non tanto di essere uccisa, ma di trasformarsi, da madre di famiglia, in agente costretta ad assistere alle torture dei prigionieri, diventando complice di qualcosa che non pensava di dover mai fare in vita sua».

Aba non è l'unico personaggio femminile a farsi largo in un mondo di maschi. A capo dell'Aisi c'è una donna, Maria Giovanna Cordero, fisico atletico, ex miss Italia. E anche il capo della Cia è una signora molto insidiosa, soprannominata House of Cards. Rispecchia il mondo reale, nei servizi, o è solo un suo auspicio?

«Un equilibrio di genere sarebbe utile, perché fornirebbe quella visione femminile del mondo che spesso manca in queste organizzazioni.

In una splendida serie francese, Le Bureau - Sotto copertura, si vede che il ruolo delle donne nell'intelligence è importante sia sul piano operativo che direttivo. Anche nella realtà americana - ma non nel senso di Mata Hari, della donna che usa il suo corpo per carpire informazioni».

Quante donne ci sono nell'intelligence?

«Cominciano a esserci. Un tempo i Servizi erano esclusivamente di provenienza militare, ora ci sono pure persone che vengono dall'università, e tra queste anche donne. L'intelligence oggi è al servizio della pace, non della guerra».

Come si è documentato?

«Attraverso i canali ufficiali, in modo da presentare le cose in modo realistico. Si può scrivere di un commissariato di polizia, anche senza conoscenza diretta, ma nel caso dell'intelligence bisogna documentarsi».

Esistono davvero, come scrive nel suo romanzo, convenzioni che definiscono come comportarsi in situazioni del genere che lei racconta, sui limiti leciti per interrogare un terrorista?

«A me risulta che, almeno in un'occasione, è stato fatto. Quando fai fiction devi spingerti fino al limite del plausibile, senza andare oltre, altrimenti diventa fantasy. Non so se esista nei servizi stranieri una licenza di uccidere, ma di certo non c'è nei servizi italiani e non credo esista nei Paesi democratici».

L'Italia è davvero un obiettivo degli islamisti, il ventre molle della molle Europa, come dice un suo personaggio?

«Nel piano dei miei cattivi che prevede di dover attaccare l'Europa non militarmente, ma finanziariamente, l'Italia viene vista come uno dei Paesi più accessibili. Per la sua instabilità e per la debolezza della struttura azionaria di molte aziende. Altre nazioni sono in grado di difendere molto meglio di noi i propri interessi. Oggi la priorità, in Europa e anche in Italia, è difendere le proprie aziende strategiche da attacchi cibernetici, finanziari, borsistici. La guerra non la si fa a colpi di pistola, ma attraverso la conquista del know how e del controllo delle aziende straniere».

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La Libia, in cui lei è cresciuto, nel suo libro ha un ruolo importante.

«Credo sia sempre più facile scrivere di cose che si conoscono. In Libia ci sono nato, ci ho vissuto diciott'anni e soprattutto ho tanti amici che vivono ancora lì e che posso sentire per farmi raccontare cosa succede. Dalla libia dipende la nostra politica energetica e molta della nostra sicurezza».

E Aba come incide?

«Come può una donna intelligente, determinata, ma che non è una supereroina».

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