“Riaprire i sipari”, mappa culturale per la ripartenza sotto il segno di Fellini

“Riaprire i sipari”, mappa culturale per la ripartenza sotto il segno di Fellini
di Katia Ippaso
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Lunedì 29 Marzo 2021, 19:25 - Ultimo aggiornamento: 19:45

In un’epoca diversa dalla nostra, un intero anno senza cinema, teatri, biblioteche, eventi dal vivo e flussi turistici, avrebbe sicuramente scatenato reazioni più significative. Ma oggi che siamo tutti pigramente “interconnessi” e le grandi aziende si preoccupano di portarci libri e film a casa, la nostra stessa percezione della “mancanza” si affievolisce, fino quasi a sparire. Lasciamo che siano solo i lavoratori dello spettacolo a fare qualche isolata protesta. Ci chiudiamo a casa, in una sospirosa “speranza” che tutto questo finisca al più presto. Intanto, la mutazione antropologica è già avvenuta e, lasciandoci immaginari filtri di dialettica (fanno parte del “pacchetto"), i giganti del consumo – compreso quello culturale - hanno comprato giorno per giorno il nostro consenso. La nuova era senza corpo si è già assestata e noi non ce ne siamo accorti. Meno male che ci sono però ancora ricercatori e professionisti dei vari settori culturali che non si rassegnano, usando ancora l’arma del pensiero per intercettare cambiamenti e disegnare scenari possibili.

IL PROGETTO

Alcuni di loro si sono raccolti attorno al progetto editoriale di Albeggi Edizioni che, dopo aver dato alle stampe “Progettare il domani” e “Giovani al centro”, ha appena pubblicato, sia in versione cartacea che in e-book, un libro che vale la pena leggere per la ricchezza di contenuti proposti e di brillanti elaborazioni metodologiche: “Riaprire i sipari” (186 pagine, 8 euro). Curato da Antonio Capitano, il quaderno è suddiviso in quattro “tempi” ispirati all’immaginario di Federico Fellini: “La strada”, “Prova d’orchestra”, “8 e ½” e “Amarcord”, e non per pura suggestione, ma per una precisa volontà di descrivere il movimento sotterraneo dei corpi e i flussi dei desideri, al di là di ogni tentativo di addomesticamento.

Con l’intento di «rilanciare il settore della cultura dopo la pandemia del Covid 19», 14 autori (Tiziano Rossi, Gianni Andrei, Claudio Bocci, Giovanna Barni, Giovanna Romano, Franco Broccardi, Vincenzo Santoro, Massimiliano Zane, Giusy Sica, Fabio Viola, Cristiano Leone, Michele Genchi, Viviana Toniolo e Clelia Arduini), si sono messi a studiare da vicino i movimenti e le fluttuazioni di un settore che in Italia stenta ad essere considerato produttivo e salutare, delineando precise proposte per la ripartenza. «Sono convinto che le “spese” culturali e le “spese” per una vacanza siano da considerare a tutti gli effetti elementi ristoratori della persona e dunque al pari delle spese (in questo caso senza virgolette) mediche da poter detrarre nella propria dichiarazione dei redditi» afferma Capitano nelle pagine introduttive.

IL SETTORE

Se Tiziano Rossi (project manager nel settore degli eventi) ci ricorda quanto vasto sia il settore dello spettacolo in Italia (che, «rispetto a maestranze, aziende e professionisti, annovera, oltre al teatro, alla lirica e alla musica popolare dal vivo, anche il settore degli eventi e dei congressi, delle fiere e delle mostre, perché i professionisti che lo compongono circolano liberamente e a pieno titolo attraverso tutti questi settori»), insistendo sull’impossibilità, per questo variegato settore, di stare in piedi con i sussidi, Gianni Andrei (fondatore del Caffè Letterario, è stato assessore della Cultura a Tivoli) sottolinea l’importanza di interventi a livello locale, consigliando a manager, organizzatori e associazioni una precisa, già sperimentata, metodologia di lavoro: il ciclo di Deming ovvero “Plan-Do-Check-Act”, “Pianifica, agisci, controlla e correggi”.

La sociologa Giovanna Romana e l’esperto di economia della cultura Franco Broccardi allineano, nel loro saggio, Susan Sontag e i Simpson: «Occorre agire per sottrazione, fare come i Simpson, usare il metalinguaggio in funzione autoironica, togliendo alla parola cultura ogni boria, ogni pretesa, e prendere in prestito il linguaggio dai poeti, quella lingua morta che ha a che fare intimamente con l’uomo». Mentre Giusy Sica (specializzata nella gestione di progetti culturali su scala europea) pone l’attenzione sulla questione non indifferente della rappresentanza femminile per il futuro e il rinnovo delle nostre istituzioni culturali: «Secondo il rapporto Unesco, tra le priorità del 2030 ci sarà la parità di genere e tra le soluzioni proposte, una spicca in particolare: l’educazione».

Fabio Viola (docente universitario e designer di videogiochi) ci spiega che cosa significa passare «dalla cultura chiusa alle culture aperte»: «In una società partecipatoria avviene necessariamente uno scambio diretto tra chi crea e chi consuma, meglio dire tra chi attiva e chi partecipa.

Ed è quindi un museo che va fuori dal museo, un teatro che va fuori dal tetro senza più apertura o chiusure, senza orari prestabiliti e numero di posto massimi assegnabili. Per far questo, devono nutrirsi di combustibile creativo vivo». È ibrido, innovativo e cangiante, il futuro della cultura. Come far coesistere, allora, forme più tradizionali accanto a nuovi processi partecipativi? È questa la domanda ineludibile.

Nel delineare la storia della “performance” dagli anni Settanta in poi, Cristiano Leone (responsabile della Formazione alla Sorbonne di Parigi e dalla programmazione culturale presso l’Accademia di Francia a Roma) individua nel criterio della “partecipazione” (contrario alla fruizione passiva dello spettacolo ridotto, nel migliore dei casi, a film) la soglia che tutti quanti abbiamo il dovere di non superare. Le strade che abbiamo davanti sono due: «potenziare la dimensione performativa nei progetti audiovisivi grazie all’utilizzo di nuovo tecnologie, oppure realizzare prodotti audiovisivi che esplorino le possibilità del gesto performativo in contesti non realizzabile nella performance dal vivo». Quindi non una sostituzione (impossibile) dell’esperienza teatrale dal vivo, ma una prolificazione di mezzi che allontanino lo spettatore dalla sua comoda poltrona e da un consumo passivo dell’evento.

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