Quei “Racconti parigini”, un viaggio
appassionato tra Hugo, Valéry e Proust

Il lungo Senna parigino
di Leonardo Jattarelli
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Domenica 6 Gennaio 2019, 17:15
PERCORSI
La Ville Lumière gode anche del suo buio. Oggi, nei giorni della rivoluzione dei Gilet gialli, nell’era del “Macron pensiero”, Parigi nel buio ritrova, come sempre, la sua antica anima libera donatale da una faticosa e insieme inebriante storia letteraria. Provate a immaginarla come una scintillante torta pannosa appena scaldata dalle chiacchiere e dai fumi di un qualsiasi bistrot: la Parigi di Balzac nella zona di Encols St.Laurent, quella di Emile Zola alla Médan, quella di Proust tra i giardini di Versailles e ancora il Louvre di Paul Valéry, Pigalle di Simenon, i Giardini di Luxembourg di Hemingway. Così l’ha “sezionata” Corrado Augias, curatore di un libro prezioso, Racconti parigini, una sorta di visita antologica della patria della Rivoluzione affidata alle descrizioni degli intellettuali più famosi della storia della letteratura. Quelli che ci hanno abitato, che ne hanno percorso le strade, che l’hanno cantata, osannata e anche villipesa. Quelli che ne sono stati rapiti per sempre.
LA ZONA
La zona grigia è di Eugène Sue: «…Un uomo dalla corporatura atletica, vestito malamente, attraversò il Pont au Change per inoltrarsi nella Cité, quel dedalo di stradine buie, strette, tortuose che va dal Palais de Justice fino a Notre-Dame…Il quartiere serve da rifugio o da punto di incontro dei malfattori di Parigi…Quella sera il vento flagellava le stradine del lugubre quartiere».
«Oh grande città – scrive Pierre-Alexis Ponson Du Terrail – sei l’enigmatico emblema del mondo…la Parigi dei ricchi e quella dei poveri: la Parigi dell’ozio dorato e quella del lavoro tenace». Il dilemma, che si srotola come un fil rouge in quasi tutti i racconti del libro, è se abbandonarsi senza resistenze al fascino della Parigi “femme fatale” o se decidere anche di affrontarla a duello. Perché, come scrive Victor Hugo: «Parigi agisce sulla terra come un centro nervoso. Se lei sussulta, noi tremiamo». Ma aggiunge: «Parigi è un seminatore. Dove semina? Nelle tenebre. Come semina? Fiammelle...Il favoloso incendio del progresso, è Parigi ad appiccarlo». 
Zola la idolatra, che parli dei vecchi abbeveratoi o del lungosenna o di Montmarte; Maupassant la incorona «apoteosi di lusso magnifico e corroto»; Apollinaire narra il doloroso distacco dalla zona di Auteuil, dove Proust nacque al n.96 di rue La Fontaine: «Così nel 1912 ti lasciai, non senza amarezza, lontana Auteuil, quartiere affascinante delle mie grandi tristezze»; per Paul Valéry «bisogna pensare Parigi. Mi perdo nei sentieri di questa intenzione».
ANALISI
A sua volta, nella sua lucida analisi sulla città e i sui abitanti, Jean Cocteu sembra essere colui che, meglio degli altri, fotografa il tutto. Le sue riflessioni, non tenere, appaiono le più contemporanee: «Parigi possiede uno stomaco di struzzo - scrive con fervore-. Digerisce tutto. Non assimila niente. È questo che le conferisce quell’aria di debolezza dietro cui si cela una capacità di resistenza senza limiti...Ciascuno vi si crede capo, e di una direttiva non accetta che il simbolo. Non appena il parigino viene ostacolato nei suoi agi, eccolo imbrogliare e brigare di nascosto per non subire il disinganno del vicino».
Eppure, sembrano voler confessare questi Racconti parigini, alla fine non c’è scampo: «Più vi si pensa, più ci si sente, al contrario, pensati da Parigi». E scorrendo le pagine, si è un po’ orgogliosi di averla magari soltanto visitata. E rivisitata attraverso le testimonianze di un libro.
 
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