"Io che vi parlo", le ultime conversazioni di Primo Levi prima del suicidio

Primo Levi
di Renato Minore
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Mercoledì 1 Giugno 2016, 16:12 - Ultimo aggiornamento: 4 Giugno, 14:25
A sorpresa, quasi trenta anni dopo il suicidio, ecco il piccolo, ma a suo modo essenziale e importante, libro di conversazioni con Primo Levi, “Io che vi parlo”, firmato da Giovanni Tesio, suo biografo, amico e critico dell’opera.
Tre dialoghi registrati in cassetta, poche settimane prima della morte, in vista di una “biografia autorizzata” che lo stesso Tesio aveva proposto a Levi. Si può dire come una forma d’implicita terapia, di “cura”, in un periodo in cui molti amici erano preoccupati per la sua condizione psicologica e lo stesso Tesio aveva “avvertito improvvisamente un'incrinatura”, cioè una forma latente di depressione.

“Sicuramente ferito nello spirito e nella carne”, Levi accetta l’invito, “parco, sobrio, discreto, molto gentile”, si affida al rito della domanda e della risposta. Talora chiede di spegnere il registratore, quando si toccano argomenti troppo privati e talora è lo stesso intervistatore a farlo.Un patto sottoscritto anche tacitamente dai due interlocutori, dinanzi a fatti e ricordi che devono restare indicibili, non tutto si può e si deve dire, c’è un silenzio su cui solo la scrittura può interrogarsi.

I parenti più antichi, i genitori, la scuola, il lavoro, le letture, i luoghi... La “biografia autorizzata” si muove secondo uno schema che Tesio va costruendo e modificando nel feedback, attraverso la famiglia, gli anni dell’infanzia e quelli della formazione durante il regime, con gli amici dell'adolescenza, le letture predilette, la passione per la montagna. E, ancora, la guerra e, dopo una lunga cesura (della cattura e del lager), il ritorno a casa e un mestiere quello di chimico “che è poi un caso particolare, una versione più strenua del mestiere di vivere”.

Tesio confessa di essere stato colpito dalla “indubbia capacità di comunicare con esattezza e asciuttezza di parola” di Levi. Con quella stessa grana della voce parlante, antiretorica, ma non inerte,domestica ma quasi festiva, “ monotonale ma capace di un suo scatto espressivo”, egli racconta, e a volte un po’ si ritrae, di certe profonde e laceranti emozioni dell’età più giovane, del rapporto di “timidezza quasi patologica” verso il mondo femminile, insegue il ricordo di una “diversità” riconosciuta in sé, nel suo essere ebreo, assai prima dell’esperienza del Lager.
E ancora accenna all’amore tutto platonico per la compagna partigiana, poi finita nei forni crematori. Affiora un’emozione più forte di altre, quasi inestirpabile, un senso di colpa profondissimo, ineliminabile: la colpa di essere vivo, il tormento che gli farà scrivere “I sommersi e i salvati”, l’estrema impietosa interrogazione sulla memoria, sulla necessità di testimonianza opposta alla rassegnazione, all’inerte accettazione del Male.

Tre incontri pomeridiani il 12 e il 26 gennaio e l'8 febbraio 1987. Le conversazioni s’interrompono, “Io che vi parlo” termina senza nessuna conclusione, proprio prima di approdare presumibilmente ad Auschwitz .Una pausa prolungata e l’11 aprile Levi precipita dalle scale del palazzo dove abita. Poche settimane prima aveva parlato a Tesio di un suo nonno, quello paterno. “Non l'ho mai conosciuto. È morto suicida in condizioni che non so, non so se sia per ragioni di dissesto finanziario. Porto il suo nome, mi chiamo Michele come lui”.

Primo Levi
“Io che vi parlo”
Conversazioni con Giovanni Tesio
Einaudi
122 pagine 12 euro
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