Molti anni dopo, il fragoroso successo del “Dottor Zivago” metteva in ombra, e quasi ancora una volta cancellava, il poeta. Eppure Pasternak continuava a essere un poeta, “il più terso, il più fiducioso”, sempre “al servizio della bellezza e la bellezza è la felicità di dominare la forma e la forma è il presupposto organico dell’esistenza.”. Un grande poeta-fanciullo, ma non era lui il fanciullo, era “ il mondo dentro di lui che era restato fanciullo”, secondo la Cvetaeva. “Ha ottenuto in premio un’eterna giovinezza poetica”, ripeteva l’Achmatova. E Alberto Moravia, che lo incontrò dopo il Nobel nella sua dacia di Peredelkino, il villaggio degli scrittori voluto da Stalin negli anni Trenta, annotava l’ aspetto “non infrequente tra i poeti, un adolescente dai capelli grigi” che parlava lentamente, con voce di tenore, “usando periodi solenni, in cui s’inserivano intense cascate di parole”, convinto che tutta la poesia non esclusa quella tragica fosse “il racconto della felicità di esistere”. Un poeta che affiancava il narratore e che aveva trasfuso nell’ampiezza epica del “Dottor Zivago” le invenzioni, i motivi, le esperienze dei suoi versi.
Dietro la sua creatività e l’esercizio del pensiero, Jurij nel romanzo scrive e pubblica poesie proprio come faceva e continuava a fare lo stesso Pasternak. E’, appunto, questo il progetto che viene riproposto nella nostra lingua, anzi proposto nella sua interezza per la prima volta con “La notte bianca”: sono tutte le originarie “Poesie di Zivago” a cui lo scrittore lavorava con convinzione e negli stessi anni in cui scriveva il romanzo della sua fama mondiale. Un nucleo denso e articolato secondo i temi stessi della storia, una sorta di antologia intesa come fiore del fiore, anticipandone a verifica delle intenzioni la pubblicazione nella rivista “Znamja,” nell’aprile del 1954. Se dunque Jurij è Boris, le poesie che devono concludere il romanzo sono le più rappresentative e autenticamente appartenenti a Pasternak. Come parte integrante del romanzo, le” Poesie di Zivago” sono “le più incisive, le più intense, le più suggestive”.
Dice bene Ruffilli, che cura anche le traduzioni , che esse ripercorrono l’intera vicenda di Jurij , facendo da riassunto per “tappe” del percorso esistenziale e costituendo ciascuna la “stazione” e “icona” di una fase, di una meta, di una caduta, di una ripresa, di un ritorno. un’originalità sobria, smussata, irriconoscibile all’esterno, “nascosta sotto il velo di una forma ovvia e consueta”. . “Tu sei il bene di un passo che è fatale, / quando vivere dà fastidio più di un male. / Ma la bellezza incita al rischio con coraggio / ed è la cosa che attira noi l’uno sull’altra.” Uno stile inavvertito “che non attira l’attenzione”, come nei molti versi che interpretano il tema amoroso profondamente radicato nel poeta georgiano in cui (come scrive Marilena Rea che ha curato recentemente da Passigli i versi amorosi “Anch’io ho conosciuto l’amore”) la rivelazione è tanto prepotente quanto “microscopica”:“una boutique di violette, un nasino arricciato, /uno sguardo conficcato nel soffitto, una mano sotto la nuca”.
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