A 17 anni, tra Ho Chi Mihn e Tex, sceglieva il secondo. Anche se era "fuori moda", una scelta "contro il flusso della storia" che segnava gli Anni Settanta e chiedeva ai giovani impegno politico e adesione piena all'ideologia anti-sistema. Ma è quando è poco più che ventenne, su un bus che lo porta dal JFK ad Albany, negli Stati Uniti, e poi a Vancouver e Toronto, che sente che la svolta è definitiva: perchè a "ciascuno di noi spettano due date di nascita", racconta Paolo Quatrocchi nel suo "Canada – storie, visioni e sfide di un laboratorio del futuro" (libro scritto con Giuliano Compagno, Mimesis Edizioni), e quel 19 luglio 1977 ha segnato il suo nuovo inizio. Quello di un italiano, romano e monticiano per la precisione, che arriverà in breve tempo a sentire che il Paese in cui era nato non era più il suo, e che un nuovo orizzonte si apriva davanti a lui, un orizzonte positivo, dinamico e carico di speranze, "un orizzonte di verità" che indica Vancouver come "luogo di un qualunque domani".
Ma la sua non è la classica storia di un uomo partito in cerca di fortuna all'estero. Nè quella di un esule nostalgico o pentito. Quatrocchi è avvocato in un importante studio internazionale a Roma, dove nel 2017 ha fondato il Centro studi Italia-Canada. Qui ha continuato a lavorare, nonostante l'attrazione fatale del Canada e della sua gente, una casa comprata a Vancouver sull'onda dei preparativi per i XXI Giochi Olimpici Invernali, il carisma di una tradizione e di una cultura dei diritti civili che rendono "quel luogo così distante e alieno dall'Italia" e, perchè no, gli amori passeggeri, come sono state le 70 ore passate con Diane durante il viaggio da Calgary a Toronto, o le passioni mature, come quella per Nadie, così somigliante alla sua amata Vancouver, tanto che "il nostro distacco ha in certa misura segnato l'inizio del mio viaggio di ritorno, di un viaggio che, paradossalmente, non si concluderà mai, nel senso che non arriverà a destinazione".
E' sostanzialmente con questa porta aperta su un futuro incerto che Quatrocchi conclude il suo libro, fatto di percorsi storici ( dall'approdo di Govanni Caboto a Bonavista nel 1497 alle dominazioni inglese e francese, fino alla più recente politica di Pierre Trudeau) e di differenze che segnano i confini (con gli Stati Uniti, per esempio, a cominciare dal bilinguismo e dal rifiuto del bipolarismo a favore di "una diversificazione delle opinioni, degli interessi e delle ideologie"; e con l'Italia, che Quatrocchi sferza citando alcuni tra gli scritti più duri di Montanelli, un'Italia tanto distante dalla linearità che caratterizza il Canada, avviluppata com'è nelle sue contraddizioni e nella sua cronica paralisi burocratica e organizzativa).
Ne viene fuori un libro a tratti introspettivo, e non solo per gli elementi autobiografici. Il Canada, in fondo, Quatrocchi lo ha vissuto e lo vive come un "laboratorio sociale" per il vecchio Continente, e per l'Italia in particolare. E così ce lo propone, perchè "in 150 anni", si legge nella Postilla al libro, "i canadesi sono riusciti a creare, per tutti, condizioni di vita fondate sulla fiducia e sul rispetto reciproco. Sono stati un esempio per molte nazioni europee, e una speranza per il mondo intero." Un monito, più che un augurio, sul quale vale certamente la pena riflettere.
Il libro sarà presentatao a Roma il 27 settembre alle 18,30, presso la libreria Eli, in Viale Somalia 50 A. Oltre agli autori, interverrà il sociologo Derrick de Kerckhove.