Mario Luzi in Cina: così ho visto il processo alla Banda dei Quattro

di Mario Luzi
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Lunedì 17 Novembre 2014, 10:38 - Ultimo aggiornamento: 14:49
Canton, 10 ottobre 1980

La fiera di Canton è una sterminata vetrina di ogni genere di manufatto, un appuntamento internazionale per l'economia cinese: vi si ritrova quel rudimentale entusiasmo per le meccanizzazioni, primo vanto e primo fondamento di ogni collettivismo, mescolato alle raffinatezze e alle preziosità degli avori, delle giade e di altre cineserie. Bellezza delle sete, nitido il colore, struggente a volte la tonalità.



Pechino, 11 ottobre

Nel pomeriggio visita al Palazzo Imperiale nella Città Proibita. La muraglia, la porta, i cortili, i fabbricati simmetrici, la policromia ora tenue ora accesa. Serialità ossessiva dell'arte asiatica - vecchio discorso. Qui è esaltata e resa irraggiungibile l'idea del potere: un'idea matematica e insieme leziosa ma con accigliamenti terribili negli spalti degli osservatori. Magnificenza e solitudine invincibile. Geometria sublimante e minacciosa.



Pechino, 13 ottobre

La mattina è occupata da una tavola rotonda dove un membro dell'Associazione degli scrittori espone la situazione letteraria cinese di oggi. Il discorso batte unicamente sulla Banda dei quattro e sui suoi delitti. Ogni attività impedita, gli scrittori perseguitati (salvo alcuni sciocchi o venduti), ai lavori agricoli, ai campi di rieducazione, in carcere, torturati, perfino uccisi. Quello che non si capisce è se per i nostri interlocutori si tratta di una lotta politica fra tendenze opposte o se è un episodio mostruoso e demonico: insomma se è un tremendo errore comunista o un complotto di diavoli. Accennano appena al quesito - ma poi subito si rifugiano nella formula secondo la quale sotto il mantello del marxismo-leninismo essi (i quattro) cercavano la restaurazione feudale e tirannica. Li chiamano fascisti. Pomeriggio shopping. Luminoso il cielo, smorti i colori della moltitudine - uomini e donne nelle loro casacche kaki o brune. Riaffiorerà un giorno il senso vivo e fantasioso del colore che la Cina ha sempre avuto? Per ora la sola nota accesa sono le guance dei bambini, i loro cappuccetti di lana. Gli occhi come olive lucenti.



Hangzhou, 26 ottobre

Il processo di Pechino visto alla Tv nella camera dell'albergo a Hangzhou. Per prima, chiamata, viene avanti Chiang-Ching, la donna più odiata in Cina (a giudicare dai discorsi che ci hanno fatto), la strega, il demonio. Viene avanti, piccola, dignitosamente. Alle domande del presidente (un tipo solenne abbastanza olimpico) risponde di non ricordare: non ricorda gli appuntamenti, le sobillazioni alla calunnia, i conciliaboli che le vengono contestati come capi di imputazioni preliminari a quello più grave di insurrezione contro lo Stato. Risponde decorosamente con una certa non spiacevole allegria e insieme con nonchalance. Il suo interrogatorio è breve. I commenti tra i nostri accompagnatori sono sfavorevoli: si dice che si comporta molto male. Seguono i generali e gli ufficiali imputati di essere strumento della perfida Chiang-Ching e di Lin Piao: e di aver preparato un attentato a Mao e la insurrezione contro lo stato socialista. Molto malconci ammettono i colloqui, gli abboccamenti notturni a Shanghai con il figlio di Lin Piao, secondo le istigazioni di Chiang-Ching, ma bisognerà vedere il seguito. Uno di loro ha detto che in tutto questo non c'era nulla di illegale, solo qualcosa di irregolare. I giudici sono fermi ma non aggressivi: neppure il Pubblico Ministero che espone i capi d'accusa e le prove. Sfilano testimoni a carico, tra questi due giovani donne allora interpreti in servizio presso Mao. Non c'è la sinistra ritualità dei processi sovietici del passato, ma si ha l'impressione (non certa) che il processo sia costruito: anche Vittorio (Sereni) è dello stesso parere quando, più tardi, ne parliamo da soli.



Canton, 28 ottobre

Il grande paese nella sua multiformità e nella sua omogeneità visibili è alle nostre spalle. Ne sappiamo realmente, ora, qualcosa di più o al contatto l'interrogativo si è moltiplicato di proporzioni e frastagliato in una straordinaria varietà di quesiti? Il paese sembra rianimato da un risveglio ancora recente, un miliardo di uomini sente di costituire, se non altro, l'argomento della politica nazionale. Soggetto della politica stessa? Beh, andiamoci piano. Il concetto "imperiale" e la prassi autocratica del potere sembrano per adesso insuperabili, date le tradizioni di corte che la Cina ha sempre avuto. Non per nulla si parla tanto di feudalesimo e di democrazia come di due poli dialettici. Allontanarsi dal feudalesimo e andare verso la democrazia - questo il senso dei vari "dictons" del momento. Dietro la facciata delle istituzioni che vorrebbe essere trasparente s'indovina un dibattimento se non una lotta in corso. Ma ci siamo avvicinati almeno un poco alla "mente" cinese? Mente che è causa ed effetto di una cultura veramente altra dalla nostra?Forse a distanza l'immagine si ricomporrà, un'idea sia pure imperfetta si delineerà. Per ora provo una punta di nostalgia per la povertà e per la castità della Cina mentre andiamo nello sgargiante, sfacciato, offensivo emporio di Hong Kong.