"La confraternita della rosa nera": quanti delitti sulla montagna dei misteri

"La confraternita della rosa nera": quanti delitti sulla montagna dei misteri
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Domenica 13 Gennaio 2019, 10:26 - Ultimo aggiornamento: 22:51

Pubblichiamo uno stralcio del secondo capitolo de "La confraternita della rosa nera" di Riccardo de Palo, appena pubblicato da Marsilio. Chi ha ucciso la giovane bibliotecaria Anne Rose Werfel, trovata senza vita in mezzo a un roseto d’alta quota, in un idilliaco borgo delle Dolomiti? Cosa si cela dietro la misteriosa confraternita che organizza giochi di ruolo all’ultimo sangue? A indagare sul caso viene chiamato l’ispettore capo Lukas Moroder, raro esempio di montanaro che soffre di vertigini e alterna ciniche battute in ladino alla musica dance del suo omonimo compaesano. Insieme a lui indagano la poliziotta scelta Helga Schneider, meticolosa e avvenente ricercatrice di piste da seguire, l’impagabile napoletano Ciro Esposito, e il più concreto di tutti, il romano Massimo Proietti. Forte delle sue intuizioni anche quando tutto lascia presagire il contrario, costretto ad agire nell’ombra per sventare le trame di potenti corrotti, Moroder trascinerà i suoi collaboratori in rapide (e ripide) incursioni tra le montagne della Val Gardena e a Innsbruck, costringendoli a missioni in incognito in Baviera, tra i misteri di Vienna, tra le vette della Foresta Nera. L’ispettore capo è pronto a tutto pur di svelare le trame di un complotto vasto e ramificato, che punta al dominio del mondo intero.

L’ispettore capo Lukas Moroder giocherellava, seduto alla sua scrivania di Bolzano, con un piccolo angelo intagliato nel legno di cirmolo, rifinendo con un taglierino le alucce e avvicinando il naso prominente alla sua creazione, per apprezzare il profumo caratteristico di quel materiale dal colore rossiccio, così tenero e aromatico da essere senz’altro il preferito degli scultori della Val Gardena. L’indomani sarebbe partito per una breve vacanza, e già pregustava le escursioni nei boschi, l’assenza totale di impegni. Il vecchio giradischi ripeteva come una cantilena I Feel Love: era la voce di Donna Summer, quella cantante degli anni Settanta lanciata da un suo omonimo compaesano. C’erano delle scartoffie da cestinare, delle pratiche da compilare; ogni incombenza andava affrontata per tempo, prima della partenza: in nessun caso Moroder voleva essere disturbato. Così, quando l’agente scelto Helga bussò timidamente alla porta, Lukas emise un grugnito e sperò che quel rumore sordo e gutturale fosse sufficiente a impedirle di entrare.

«Ispettore, è per lei, da Ortisei. Hanno trovato una donna morta, nel roseto di Stria.»

L’ispettore mise a fuoco l’immagine della donna comparsa sulla porta, come se la vedesse per la prima volta (ma non era evidentemente questo il caso): età apparente trent’anni; capelli neri come la pece; occhi di un azzurro intenso; un corpo slanciato e ben tornito che avrebbe incendiato di desiderio qualsiasi uomo (ma non lui, che all’amore aveva sviluppato gli anticorpi); un portamento elegante, da nobildonna germanica, del tutto inadeguato per un’agente di polizia; e una sfrontatezza piuttosto insolita in una altoatesina, ma specialmente fuori luogo in quella questura dall’aria burocratica e silenziosa, in una provincia autonoma in cui, al massimo, si procedeva all’identificazione di immigrati irregolari che cercavano un passaggio per la Germania.

«Com’è possibile, agente Schneider? Dobbiamo pensare che sia stata opera di quell’orsa per la quale è stato impartito l’ordine di cattura?»

«Nessun segno di plantigradi in azione in Val Gardena, signore. Si direbbe un incidente, oppure un suicidio, secondo la prima ricostruzione; ma la donna ha delle ecchimosi sul collo e sulla testa che lasciano pensare a una possibile aggressione.»

«Andiamo subito sul posto, chiami gli agenti Esposito e Proietti. Prenda una macchina.»

«Agli ordini, ispettore.»

Moroder si stropicciò gli occhi, mentre si sciacquava la faccia nella toilette; si ispezionò i capelli neri, le sopracciglia folte. In quello sguardo che sembrava fatto di braci accese, c’era ancora l’ombra di ciò che era stato: un uomo attraente e inarrestabile. Ma se Reinhold Messner, uno dei suoi numi tutelari, l’avesse incontrato in quel momento, l’avrebbe certamente scambiato per una solitaria creatura delle foreste. Colpa, forse, di una vita diventata così noiosa, delle pratiche inutili che ingombravano la sua scrivania. Qualche giorno prima aveva persino dovuto seppellire, con un tratto di penna, un barbone deceduto nottetempo.

Per fortuna, il fisico non l’aveva mai abbandonato. Eppure, malgrado quelle spalle larghe, quegli avambracci ben torniti e villosi, sembrava un campione di boxe che avesse ceduto alle lusinghe di una femme fatale (o di un trafficante d’oppio), e che aveva trovato infine ospitalità in quelle stanze polverose. Capitava che qualcuno lo scambiasse per il buttafuori di una bisca clandestina, o per uno scalatore di vette in disarmo; ma per molti, nel suo dipartimento, era soltanto un simpatico collega di origine ladina dall’andatura un poco scoordinata o, come voleva il suo soprannome, un abominevole uomo delle nevi. «Porta lo Yeti» dicevano i superiori, quando si richiedeva la sua presenza per risolvere casi degni soltanto di giornali di provincia, ma che apparivano ai loro occhi veramente insormontabili. Solo lui poteva “miracolosamente” far confessare marocchini che avevano tentato di accoltellare altri immigrati per un debito di pochi euro, o riuscire a capire quando un clochard era veramente colpevole dell’omicidio di un compagno.

«Ispettò» ebbe a dire a bordo dell’Alfa Romeo d’ordinanza Ciro Esposito, partenopeo di bell’aspetto attirato a Bolzano dalla prevalenza di bionde sul territorio e da una promessa di carriera, «l’ultimo cadavere ritrovato era quello di un soldato acciso durante la Grande Guerra, complice lo scioglimento dei ghiacci. Il primo ritrovamento significativo dopo il vecchio Ötzi, l’uomo del Similaun.»

«Anche quello fu un omicidio, mio caro Esposito. Ucciso dalle frecce di qualcuno che voleva rubargli la selvaggina. Lo ha rivelato l’autopsia.»

«Sì, ma qui, nella presente era geologica, non succede mai nulla.

Com’è possibile che a chilla là l’hanno ammazzata così, senza una ragione apparente, nel bel mezzo di un giardino pieno di fiori? Non è che stiamo perdendo tempo per un banale suicidio?»

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