Intervista a fumetti a Lorenza Natarella: «Non fidatevi delle mode, contano solo le storie»

Intervista a fumetti a Lorenza Natarella: «Non fidatevi delle mode, contano solo le storie»
di Nicolas Lozito
7 Minuti di Lettura
Venerdì 2 Agosto 2019, 17:42 - Ultimo aggiornamento: 3 Novembre, 10:37

Lorenza Natarella, classe 1988, nata a Lanciano ma da anni milanese si presenta così: «Da piccola sostenevo che da grande avrei fatto per metà settimana la pittrice e per l’altra metà la veterinaria». Oggi, invece, fa l’illustratrice, o la fumettista, o l’autrice, a seconda delle occasioni. Ha firmato il suo primo fumetto nel 2013 La Citila per Topipittori e nel 2017 la graphic novel biografica su Maria Callas Sempre libera per Bao publishing, disegnato e scritto interamente da lei.

Sempre libera è uscito due anni fa. Qual è il bilancio?
«Non vorrei sembrare scoraggiante, ma il bilancio è che per ora non voglio fare altri libri scritti e disegnati da me. La fatica, per me, è stata sovradimesionata, l’intensità che ci ho messo mi ha divelta».

Stai dicendo che non ti è piaciuto lavorare a quel libro?
«Sto dicendo che ha avuto senso, anzi, l’ho amato, ci ho messo tutta me stessa. Ma ha avuto anche il senso importantissimo di tirarmi fuori da questa condizione in cui mi ero adagiata: lavorare tantissimo, fare la martire del mio mestiere, mettere troppo di me stessa in un qualcosa che non ha bisogno di tutto ciò».

Prima di arrivare al disegno definitivo della tua Callas, ci sono state versioni preliminari che hai scartato? Te ne penti? Oppure, oggi, come ridisegneresti la Callas?
 

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Il tuo libro è come un ritratto di Dorian Gray al contrario? Lui rimarrà sempre lì e tu invecchierai serena?
«Non sono né la prima né l’ultima ad aver fatto una biografia a fumetti: siamo tutti sopravvisuti. Per me è stato un periodino, ma ora ho imparato a separare me stessa».

E allora ora che mestiere fai? 
«Dopo un periodo di blocco ne sono uscita. Ora faccio il mio mestiere, e non lo strafaccio. Non che lavori di meno, perché non si può fare i capricci, però era necessario che il vaso traboccasse perché ora ci sia spazio per altro. Credo molto nel potere della crisi».

Ok, ma se dovessimo fare un diagramma a torta con tutte le tue attività lavorative, come si comporrebbe?
«Per prima cosa, continuo a fare il lavoro di autrice, cioè unisco scrittura e disegno. È quello che mi piace di più, è quello dove c’è la qualità manifesta, anche se è meno remunerativo. L’ho fatto con i libri, lo faccio sui giornali, l’ho fatto su Origami per molti anni, ora su Tuttolibri de La Stampa. Poi faccio illustrazione, ora sto lavorando alle illustrazioni per un libro per ragazzi. Ma il settore che mi mantiene veramente è la pubblicità: tante agenzie di Milano mi chiamano per fare disegni e illustrazioni, e cercano la mia professionalità, non Lorenza Natarella l’autrice, quindi è più leggero farlo, sento meno la responsabilità».

Però è anche il settore dove si scende a più compromessi. Come sopravvive l’animo permaloso che risiede in ogni autore?
«Per quei lavori non sono orgogliosa nei miei confronti, solo del lavoro stesso. Non ho pretese artistiche, se mi chiedono di cambiare il colore lo cambio, ma non sopporto chi mi fa provare 10 colori diversi perché non sa decidersi. Nel disegno su commissione il tempo non è mai otimizzato, se ne perde un sacco, ma a volte bisogna stringere e decidersi».

Altri motivi di litigio? 
«Quest’anno ho litigato molto, in effetti, soprattutto per i contratti. In Italia ci sono contratti molto vecchi, soprattutto nell’editoria. Bisogna leggerli e rileggerli e stare attenti a tutto. Se li firmi senza leggere finisci come Bart Simpson che vende l’anima al diavolo. Dobbiamo uscire dall’idea che l’opportunità lavorativa sia una concessione che ci viene fatta».

Il solito bilancino arte-mestiere.
«Questo lavoro è inquinato dal concetto di arte. È un inciampo continuo. C’è una confusione continua tra privato e professionale, tra se stessi e quello che si fa, tra tempo libero e orario di lavoro. Tra aspettative e compromessi, anche. Io parto sempre Disneyland, poi cado a picco subito dopo. Ma è anche vero che non si è troppo cinici, certe cose le fai e sei felice di averle fatte nonostante tutto».

Come gestistici il tuo tempo e il lavoro da freelance: agende, studio, lavoro da casa o in studio, dar da mangiare al gatto?
 
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Rispetto a un tempo, a quando eri un esordiente, è un mondo più spietato o più ricco di possibilità? Mi spiego: la tecnologia sociale, il farsi conoscere attraverso internet, rende davvero il mercato del lavoro più movimentato?
«A me sembra un’illusione. L’opportunità concreta è l’incontro, la stretta di mano, che in Italia funziona ancora molto. Per questo vivo a Milano. Il mondo editoriale, comunque, me l’ero immaginato molto diverso agli inizi: ero più ingenua, però anche qui si vive di aziende, gruppi, numeri, anche qui lo scopo è portare a casa la giornata».

Qual è la tua numero uno di Paperone, quel lavoro che ti ha fatto capire che nonostante tutto avresti dato anche tu un contributo a questo settore professionale?
«Studiavo al Mimaster, corso di Milano per illustrazione, e mi avevano scelto per fare delle illustrazioni a un libro di narrativa di Salani. Avevo un’ansia incredibile ma anche tantissima gioia. Quando ho avuto il contratto l’ho tenuto sulla scrivania scrivendoci vicino: “Il mio primo dentino”».

Sei una fondatrice dello Studio Armadillo, spazio di co-working sui Navigli dedicato ai disegnatori. Come funziona?
«L’abbiamo fondato in 10, tutti ex studenti del Master. All’inizio lavoravamo compatti, quasi con militanza, perché eravamo tutti esordienti e dovevamo farci conoscere. Dividendo le spese e raccontando lo studio come un gruppo di lavoro. Poi piano piano ci siamo differenziati, ognuno ha iniziato il proprio percorso. Ora condividiamo gli spazi, siamo quasi tutte donne, e affittiamo delle scrivanie anche ai non fondatori».

Lavori totalmente in digitale. Ti manca qualcosa delle tecniche analogiche?
«Intanto credo che la divisione sia una questione da vecchi. È come se mia nonna mi dicesse ancora che sono poco furba a fare le foto con l’iPhone invece che con il rullino. Con la matita ero lenta, esitante, il digitale mi ha spalancato le porte del disegno. Ho iniziato a pensare diversamente. L’unica cosa che mi manca è lavorare con la materia e senza uno schermo a dividermi da ciò che faccio. Potrei dipingere per sei ore senza accorgermene, mentre con lo schermo davanti la fatica si sente».

Le tettine puntute sono il tuo marchio di fabbrica. C’è persino qualcuno che ti chiede di smussarle. Come è nata questo tratto? Perché?
 
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Si fa un gran parlare della new wave del fumetto femminista italiano. Che ne pensi? Ti senti parte di questa "ondata" di giovani autrici?
«Non mi sento parte di niente, e anzi, se mi sentite mai dirlo per favore sparatemi. Non c’è cosa di cui diffido di più dei gruppi. Ho paura che all’interno si scompaia. Appena mi sembra un girotondo, comincio a essere sospettosa e critica. Per quanto riguarda, poi, il fumetto femminista: mi sembra più una categorizzazione che fa bene alla pubblicità dei libri, non mi sembra aggiunga altro. Prima la smettiamo di fare discorsi maschi-femmine meglio è. Prima inizia a parlare di storie invece che di autori e autrici meglio è. Diffido molto degli autori-personaggio».

Ok allora cosa consigli ai giovani che vorrebbero fare questo mestiere?
«Non fatevi fregare dal percipitissimo senso del dovere, dell’allineamento a qualcosa. Mi chiedono spesso: “Come devo usare i social se voglio pubblicare?” e io impazzisco. Li incoraggio a non fare come fanno gli altri. Non è obbligatorio fare certe cose per diventare e rimanere rilevanti agli occhi di colleghi e pubblico. Insomma, niente strategie, non credete nell’hype, nelle mode. Non fatevi ubriacare. E ai miti che avete, spaccate la testa, non ci devono essere santità, bisogna picconare tutti».

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LE INTERVISTE A FUMETTI DE IL MESSAGGERO
01. Zuzu
«Con il mio graphic novel Cheese mostro l'audacia dell'adolescenza»
02. Dario Campagna«Disegnare vignette satiriche è come giocare al fantacalcio»
03. Miguel Angel Valdivia: «Disegnare è umano, inciampare è divino»
04. Sara Fabbri: «Per disegnare la Thailandia ho girato bendata per Bangkok»
05. Alberto Madrigal: «Anche quando preparo la colazione sto disegnando»
06. Rachele Aragno: «Le avventure della mia Melvina mi hanno aiutato a crescere»
07. Cristina Portolano: «Con i miei disegni racconto le sfaccettature della sessualità»
08. Maurizio Lacavalla: «Barletta è la mia Twin Peaks»
09. Holdenaccio: «Umberto, il mio rivoluzionario tenero e intergalattico»
10. Lorenza Natarella«Non fidatevi delle mode, contano solo le storie»

Tutti le risposte disegnate sono create dall'autore o dall'autrice per Il Messaggero. 

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