Intervista disegnata a Mirka Andolfo: «Sono fiera di fare fumetti e chiamarli così»

Intervista disegnata a Mirka Andolfo: «Sono fiera di fare fumetti e chiamarli così»
di Nicolas Lozito
5 Minuti di Lettura
Domenica 3 Novembre 2019, 10:50
La sua edizione americana di “Contronatura” ha venduto, solo in America, 200.000 copie. Ora Mirka Andolfo, star internazionale del fumetto nata a Napoli nel 1989, presenta a Lucca Comics & Games la sua nuova serie: Mercy, un horror-gotico ambientato nel Far West della corsa all’oro. Il primo volume della serie edita da Panini Comics (e già pronta per le edizioni americane e francesi) si intitola "La dama, il gelo e il diavolo" (25,5X35,5cm; 72 pp.; 12€) e sarà in vendita dal 7 novembre. 

Cos'è Mercy per te? 

«“Mercy”, in inglese, significa “pietà”. Tutta la storia ruota intorno a questo tema, ovviamente legato alla figura della misteriosa Lady Hellaine, la protagonista. L’empatia, sapersi mettere nei panni altrui, provare un sentimento di misericordia. Son tutti aspetti propri di ciascun essere umano, a mio avviso. E non è mai troppo tardi per rendersene conto». 

C'è qualcosa dell'universo narrativo di Mercy che vorresti vedere reale nella vita di tutti i giorni? Quale?
«Essendo una storia abbastanza cupa, mi auguro che niente di quello che succede nel fumetto possa avvenire nella realtà. Al massimo, le cose positive... che ovviamente non vi spoilero. Posso però dire che vorrei che fosse possibile avere nella realtà dei capelli e dei vestiti favolosi come quelli di Lady Hellaine».

Il pubblico dei fumetti, tra l’altro prevalentemente maschile, è pronto ad accettare la tua protagonista?
«Lady Hellaine è una donna forte ma non è solo questo. In apparenza forse sì, ma in realtà nasconde dei punti deboli che, chissà, forse riuscirà a superare e a diventare la donna davvero forte che le augurerei di essere. Spero che ai lettori piacerà... Non posso ancora sapere come verrà accolta, ma io mi sono affezionata moltissimo a lei, mentre la creavo. Ha dei lati oscuri di me, estremizzati. Forse è proprio per questo che la sento così vicina».

Ci sono sempre più personaggi forti femminili sul mercato. È un segno positivo?

«Secondo me, negli ultimi anni, il fumetto si sta muovendo molto in questa direzione. Anche i tanto bistrattati comics americani, nell’ultimo decennio stanno sfornando un sacco di eroine forti, che non hanno bisogno del sostegno di loro controparti maschili. Non tenere presente questo aspetto, vuol dire non essere aggiornati. Ci sono anche molte più professioniste donne sul mercato, rispetto al passato».

Flashback: Wikipedia dice che hai imparato a leggere su Topolino? Ci dobbiamo credere?

«É stato il primo fumetto in assoluto che ho letto, come per molti bambini italiani, credo. Il mio primo “amore” fumettistico. Sono rimasta molto legata a Topolino nel tempo e qualche anno fa ho avuto anche la fortuna e il piacere di lavorare come colorista su diverse storie e copertine».

Altro topo: Geronimo Stilton. Tu ci hai lavorato, ma qualche altro disegnatore storcerebbe il naso. Come è stato?
«Una tappa fondamentale: erano gli inizi della mia carriera, e facendolo ho imparato tanto. Non credo che nessun professionista (giovane o affermato che sia) non sarebbe contento di lavorare su un franchise così famoso a livello internazionale».

Come gestisci tutte le scadenze, tra lavori su commissione e idee tue?

«La gestione del tempo è sempre molto problematica: far combaciare le varie esigenze e le varie deadline è molto complesso. Più gli anni passano, più ne manco e più sono anche stanca. Diciamo che sto cercando di diminuire la mole di lavoro, per potermi prendere un po’ di tempo per me stessa e le persone che mi sono vicine». 

Ci sono differenze tra approccio di lavoro in Italia, in Europa e negli USA?
«C’è sempre un editor che coordina il lavoro e tre diverse figure operative: sceneggiatore, disegnatore, colorista, letterista, ecc. Insomma, la vera grande differenza sta nel gestire tutto questo in lingue diverse. E i tempi negli Stati Uniti sono sempre più stretti. La vera differenza è quando c’è “mio”: è più difficile da gestire, ma anche molto soddisfacente».

I tuoi numeri di vendita sono immensi: perché in Italia c'è ancora molta sufficienza nel trattare il fumetto da edicola, mentre il graphic novel è messo sull’altare, pur vendendo di meno?
«Sono dell’idea che fumetto e graphic novel siano la stessa cosa, che siano da edicola o da libreria. Semmai, esistono fumetti di stampo più o meno commerciale. Questo, però, non significa che una tipologia sia superiore all’altra, anzi. Qualche volta, forse, si usa il termine graphic novel proprio perché c’è tanto snobismo nei confronti del fumetto in generale, quindi molti preferiscono subito far capire la profondità di un progetto definendolo, spesso impropriamente, graphic novel. Io sono fiera di fare fumetti e chiamarli esattamente così».

Su instagram sei molto seguita (200 mila follower): quanto influenzano il tuo processo creativo?
«I social network per me sono davvero molto importanti. Tutto è nato lì, a partire dal mio primo webcomic, Sacro/Profano, circa, sette anni fa. Sono il modo più veloce e immediato per ogni artista di mettere “in vetrina” le proprie creazioni. L’importante è distinguere il virtuale dalla realtà: avere molti like non rende un autore necessariamente “vendibile”, e lo stesso discorso vale all’opposto. Quando dei ragazzi mi chiedono consigli al riguardo, cerco di spiegare sempre di non rendere i social la parte principale del lavoro. La cosa più importante è impegnarsi a livello professionale su più fronti, essere dei professionisti affidabili per gli editori con cui si lavora, e cercare di dare sempre il massimo. Non si campa di like e view, ma di duro lavoro. E anche se molti, vedendo tutto dall’esterno, credono che sia un mondo facile e divertente, non è così. Richiede sacrifici e un continuo mettersi in gioco».


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Tutti le risposte disegnate sono create dall'autore o dall'autrice per Il Messaggero. 
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