E' uscita una monografia dal titolo La vita. La fotografia. (Silvana Editoriale, 192pp, 30 euro), curata da Marco Minuz. Un volume che mette su carta quello che si può ammirare nella prima retrospettiva che sta girando l'Italia: è stata a Palazzo Ducale di Genova, è stata a Treviso, e arriva a Roma dal 29 novembre (fino all'8 gennaio 2020 al Museo di Roma in Trastevere). Nelle 190 foto che racchiude il libro è perfetto riassunta una carriera tanto sfaccettata quanto unita da un unico filo rosso. Morath inizia come giornalista e solo dopo arriva alle immagini, con un viaggio decisivo a Venezia nel 1951: nei suoi scatti in bianco e nero non troviamo istanti decisivi di Cartier-Bresson, né i grandi avvenimenti di Robert Capa, né l'umanità differente di Diane Arbus. Nelle immagini di Morath, come scrive il curatore Minuz, c'è una «complicità costruttiva», un rapporto umano che prescinde la pellicola ma lì riesce a imprimersi per sempre. Calore umano, ma mai pietismo borghese, curiosità, ma non voyerismo. Una reporter silenziosa e umanista, che ha documentato il cambio di spirito delle società dopo la seconda guerra mondiale.
Il libro ospita quattro scritti iniziali, del curatore, di Kurt Kaindl e due della stessa Morath, per poi esporre con la carta della pagine che diventa lucida i migliori scatti della fotografa divisi per tipologia o luogo, e infine un ricco e comprensibile schedario con le didascalie. Il risultato è un oggetto da collezione, ma anche un libro da leggere per davvero, da cima a fondo, per capire qual è il pensiero dietro uno scatto, la vita dietro a un click, la grandezza della più brava fotografa dilettante di tutti.
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