​Guanti, mascherine e paura: le parole della pandemia come istantanee dell’isolamento

Vera Gheno - Foto Umberto Costamagna
di Caterina Chiara Carpanè
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Lunedì 25 Maggio 2020, 22:12 - Ultimo aggiornamento: 22:18

Paucisintomatici, alveoli polmonari e zoonosi. E poi guanti, mascherine, casa e bambini. Quali sono le parole che più hanno segnato questa lunga pandemia? Quali termini hanno scandito il tempo degli italiani tra bollettini quotidiani, panificazione estrema e intensa paura? Si è posta questa domanda anche la sociolinguista Vera Gheno che ha chiesto ai suoi follower su Facebook di indicare tre parole legate alla quarantena. «Frequento molto i social per piacere personale e per lavoro. Mi sono resa conto che da un lato c’era una narrazione mediatica, pubblica della pandemia, dall’altro un racconto privato. Mi sarebbe spiaciuto che quegli aspetti, fatti di bricolage, panificazione, mascherine fatte in casa, fossero andati persi. Nella narrazione storica degli eventi, la gente comune non c’è mai: c’è la folla, ma non sappiamo gli effetti dei momenti epocali sulle persone», spiega Gheno, che ha raccolto le risposte in «Parole contro la paura – Istantanee dall’isolamento» (ed. Longanesi).  
 



E così da Attesa si arriva a Zombie, passando da Distanza a Yoga, in un alfabeto nato per ricordare gli aspetti meno evidenti, più intimi di questa crisi: «Non sapevo bene cosa sarebbe venuto fuori. Sono emersi concetti astratti, come ansia, insieme a piccole cose: guanti, bambini, lievito, farina, – sottolinea l’autrice. – Ci si potrebbe aspettare una narrazione molto negativa, invece già un mese fa erano presenti parole positive improntate alla riapertura, in una sorta di ricerca della fine del tunnel quando nel tunnel eravamo ancora dentro». E così la fase 1 diventa «emergenza, casa, mascherina, guanti e paura», mentre il mondo della fase 2 può essere riassunto da «bambini, opportunità, umanità, resistenza e tempo». Proprio la capacità di vivere il tempo è legata all’uso della parola: «Diversamente dagli animali, costretti in una sorta di eterno presente, grazie al linguaggio, noi esseri umani abbiamo una parte di noi parte proiettata al passato e un altro pezzo teso verso il futuro. Ecco perché in questo momento credo sia importante darci il tempo di uscire, anche mentalmente, da questa situazione: ci siamo adattati, ora ci serve il tempo per ricominciare». Parole comuni da un lato e termini tecnici dall’altro: come possono coesistere? «Io penso che sia importante conoscere anche il lessico istituzionale: dare il nome giusto alle cose è un modo per gestire la complessità della realtà, sapere cosa significa “persona paucisintomatica” può contribuire ad avere meno paura», rileva Vera Gheno.  Cosa resterà di tutto questo negli anni a venire?

«Sicuramente il linguaggio ne terrà traccia: è già accaduto in passato per altri eventi epocali come l’11 Settembre.
La lingua può essere paragonata al tronco di un albero, con gli anelli di crescita. Così, fra qualche decennio, si potrà vedere nell’anello relativo a quest’anno un accumulo di termini medici. La lingua non può non tenere traccia di quanto accade nella realtà», conclude la sociolinguista, che aggiunge: «Ci siamo ritrovati tutti più di prima a comunicare online, ci siamo dovuti confrontare con la comunicazione mediata, cogliendone non solo i pericoli ma anche le potenzialità. Il mio auspicio è che si mantenga questa attenzione verso la centralità della parola: non avendo il nostro corpo dietro le cose che diciamo, come accade con l’interazione in presenza, ci siamo resi conto di quanto sia importante usare bene le parole».

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