Franco Califano, la compagna Mita Medici: «Un romantico, la verità svelata nel libro»

Da domani in edicola con Il Messaggero il volume biografico di Marino Collacciani

Franco Califano, la compagna Mita Medici: «Un romantico, la verità svelata nel libro»
di Valeria Arnaldi
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Venerdì 24 Marzo 2023, 01:37 - Ultimo aggiornamento: 18:09

Cantato, goduto, sofferto, insomma vissuto: c’è anche l’amore nel libro “Francamente Franco. 
Il vero volto di Califano
” di Marino Collacciani, con prefazione di Edoardo Vianello, che Il Messaggero, domani, porterà nelle edicole di Roma città, Ostia inclusa, a 6,90 euro, oltre al prezzo del quotidiano. 
Un tributo speciale, edito con Castelvecchi, nel decennale della scomparsa dell’artista, avvenuta il 30 marzo 2013. 
E nel racconto dell’amore, non può mancare ovviamente il suo legame più forte, quello con Mita Medici, che durò tre anni, dal 1967. 
La abbiamo raggiunta per farci raccontare quei giorni e non solo. 

Come vi siete conosciuti? 
«In casa discografica a Milano.

Gianni Minà, amico comune, volle presentarci. All’epoca, Franco era solo autore, non cantava. Viveva a Milano, io a Roma. Quando si è trasferito di nuovo nella Capitale, mi ha corteggiata molto». 

Quella del donnaiolo era solo una maschera? 
«Amava davvero le donne, non le strapazzava, contrariamente alla leggenda nata poi. Mi ha corteggiata in modo romantico. Io ero più giovane, lui nel pieno di capacità e voglia di raccontarsi. Siamo stati benissimo. Abbiamo messo su casa. Era protettivo con me, mi vedeva piccola ma io sapevo bene ciò che volevo nel lavoro. Forse anche questo ha contribuito alla fine della relazione». 

Come è finita? 
«Da un momento all’altro me ne sono andata e questo per lui, da poeta, è diventato quasi “la rosa che non colsi”, l’amore che rimane per sempre». 

Per Collacciani, lei è stata la donna più importante della vita di Califano 
«Questo mi commuove. Franco ed io ci siamo trovati. È stata una storia non lunghissima se si pensa alla durata della vita, ma davvero intensa. Poi ci sono stati strascichi, lui ha tentato di ricostruire il rapporto, ma io ormai ero lontana. Ho sempre sentito, però, che mi voleva bene». 

A relazione finita, nel 1970, è iniziato il periodo nero di Califano, con la droga e il carcere. 
«Non mi ero resa conto della dipendenza quando stavamo insieme. Dal carcere mi scriveva. Mi raccontava dei suoi compagni, parlava di progetti, anche per noi. Voleva sposarmi. Quelle lettere sono meravigliose. Magari, tra qualche anno, le pubblicherò. Ogni tanto ci penso. Sono discreta e tenderei a non farlo, ma dicono tanto di lui, aiutano a capirlo meglio».

Cosa non è stato colto di Califano, secondo lei? 
«Il pubblico lo ama profondamente e lo ha capito molto prima della critica che sul momento, anche per moralismo, perbenismo, perfino per volergli mettere etichette politiche, non lo ha compreso».

Come era davvero Califano?
«Era una persona vera, senza sovrastrutture. Sapeva trasmettere emozioni molto forti nei suoi testi, si impegnava tanto, faceva anche ricerche. Tanto del suo lavoro io stessa l’ho scoperto dopo». 
Alcuni aspetti li ha portati in scena. 
«Sì, ho fatto un recital con brani e aneddoti su di lui. È stato emozionante. Forse, lo riprenderò». 

La canzone in cui lo rivede di più? 
«“La mia libertà”, perché proprio perché la aveva perduta ne conosceva bene il valore. E un brano su un uomo solo davanti al mare. Ma sono tantissime. Nelle canzoni parla di sé, di noi, di tanti. Sono storie vere, viste o vissute». 
 

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