Giancarlo De Cataldo: «Roma non è Suburra, è magia senza tempo»

Giancarlo De Cataldo
di Francesco Musolino
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Sabato 30 Maggio 2020, 10:07 - Ultimo aggiornamento: 11:55

«La magia stregonesca d'una Roma senza tempo», l'Urbe della grande bellezza, la città narrata dai versi farseschi di Gioacchino Belli, decadente come i tramonti di Gabriele D'annunzio. Roma è lo scenario de Io sono il castigo (Einaudi Stile Libero, pp.240 18), il primo libro delle avventure del pm Manrico Spinori della Rocca, detto Rick, creato dalla penna di Giancarlo De Cataldo. Giudice di Corte d'Assise d'Appello - tarantino di nascita, vive a Roma dal '74 - con questo libro De Cataldo accantona l'indagine sulla criminalità mafiosa di Romanzo Criminale e Suburra (da cui sono state tratte pellicole e serie tv di grande successo), scegliendo un passo lieve, virando su un gentiluomo di stirpe nobiliare, «un uomo mite e armato di ideali», un amante dell'opera che si candida a far breccia nel cuore delle lettrici, affiancato dalla ruvida ispettrice Cianchetti, «orgogliosa figlia del Tufello». Sceneggiatore e drammaturgo, oggi De Cataldo mette in guardia sul futuro economico post-lockdown, auspica «massicci investimenti in mezzi e uomini per migliorare l'intero settore della giustizia» e mette in guardia contro le fragilità della società mediatica che insegue lo scoop a tutti i costi. E sul fronte artistico è già pronto a rilanciare la posta visto che fra pochi mesi tornerà in libreria con Tre passi nel delitto, scritto a sei mani con Maurizio De Giovanni e Cristina Cassar Scalia.

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Manrico è educato e rispetta l'opinione altrui. Una mosca bianca?
«Sono sempre più diffidente e ostile verso gli sputasentenze, verso chi occupa tutti gli spazi televisivi, aggredendo e insultando a piè sospinto, riducendo il linguaggio ad uno scontro verbale continuo. Manrico è mite, parla a bassa voce e non si lascia prendere la mano dai facili giustizialismi».

Manrico si ispira alla passione per l'opera per risolvere i casi. Un bisogno di leggerezza?
«Provengo da una famiglia pugliese che negli infiniti pomeriggi d'estate degli anni '60, amava ascoltare l'opera alla radio e recentemente questa passione si è riaccesa prepotentemente in me. Fra partiture e libretti, Manrico ritrova il gioco della vita; del resto, nel melodramma tutte le emozioni, compreso il delitto, vengono narrate. Non a caso il racconto si apre su una scena della Tosca al Teatro Costanzi di Roma».
 



Roma è protagonista. Per lei è più bella assediata dai turisti o vuota, in mano alla natura?
«Roma è una città meravigliosa, piena delle asprezze delle metropoli, d'una bellezza sensazionale. Roma non è solo Suburra. Ciò detto, ammetto che il lockdown esercitava un suo fascino: salivo sui tetti e con lo sguardo seguivo le battaglie degli uccelli che si contendevano il cielo. Ma abbiamo bisogno di tornare alla normalità».

Dopo il lockdown, la tensione sociale crescerà?
«Le ricadute economiche saranno mondiali. Roma, una città dal tessuto economico fragile, certamente patirà. Mi auguro che i fondi europei vengano gestiti in modo oculato investendo i soldi della ripresa prima che ci pensino le mafie con la liquidità tossica».

Al pari del pm Spinori, lei descrive anche il circo mediatico della tv che ricama sui casi di cronaca nera. Un equilibrio fragile?
«Facciamo tutti parte di una società mediatica ma riguardo alle regole vigenti rilevo che tutti possono parlare, tranne il giudice, che può farlo solo con le sentenze. Sono le norme, d'accordo, ma ciò crea le premesse per un grosso squilibrio perché alcune parti in gioco accedono, anche in modo massiccio, all'informazione e altre, invece, ne sono escluse. Il risultato finale è che il racconto della realtà può essere mistificato. Del resto, le contraddizioni sono sempre in agguato».

Cos'è la giustizia?
«Le rispondo da Roma, dalla culla del diritto, la giustizia serve a riparare un torto, a scongiurare che i cittadini prendano le armi per ottenere vendetta».

Ma il nostro sistema giudiziario è in salute?
«L'emergenza attuale ha acuito notevoli disservizi già esistenti. Occorrono massicci investimenti in mezzi e uomini per migliorare l'intero settore. Ma pur con tutti i suoi limiti e i suoi difetti, non cambierei il nostro sistema giudiziario con quello di altri paesi in cui non ci sono libertà civili o c'è ancora la pena di morte».

Manrico si interroga costantemente su giustizia e vendetta. Gli italiani sono un popolo di manettari?
«Siamo sempre stati oscillanti fra garantismo e giustizialismo. La giustizia, tirando in gioco Shakespeare, è misura per misura eppure non esiste alternativa: o ci affidiamo al diritto o ci consegniamo alla vendetta».

A proposito, come ha reagito alla liberazione di Silvia Romano?
«Sono felice che sia stato liberata. Inviterei voi giornalisti a non dare troppo peso ai cosiddetti leoni da tastiera che aizzano l'odio. Le scelte di questa ragazza vanno rispettate».

Torniamo al libro. La madre di Manrico è ludopatica e ha dilapidato il patrimonio. Un'emergenza sociale sempre più attuale?
«Una malattia vera e propria, riconosciuta dalla Cassazione come una delle cause di disturbo mentale. Da profano dico, è l'idea di fare un colpaccio, quel miracolo che ti fa svoltare la vita e cancella tutte le difficoltà. Ma c'è anche chi ha il brivido del gioco. Per fortuna, ne sono esente».

Gli scaffali sono pieni di commissari e avvocati con vite sentimentale incasinatissime. Manrico come se la cava in amore?
«Ha una vita mossa, serena, libertina. Mantiene rapporti civili con l'ex moglie, ama le donne ma non si affanna a sedurle, piuttosto, si lascia amare».

Sia lei che Manrico siete dei melomani. Oggi quale opera racconta i nostri tempi?
«Per un momento di rispetto e in memoria delle vittime si può ascoltare la grande Messa da Requiem di Giuseppe Verdi».
 

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