L'ultima fatica di Camilleri ha il volto inedito di Caino filosofo

Andrea Camilleri
di Riccardo De Palo
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Giovedì 21 Novembre 2019, 07:40 - Ultimo aggiornamento: 15:20

Pare quasi di sentirlo recitare, Andrea Camilleri, con quella voce roca, ridotta a un sussurro; sembra quasi di vedere quel suo gesticolare lento, mesto, oracolare. Sfogliare le pagine di Autodifesa di Caino, il primo libro postumo del papà di Montalbano, da oggi in libreria, può essere un'esperienza struggente. Perché questo testo è lo stesso che lo scrittore siciliano avrebbe dovuto pronunciare, lo scorso 15 luglio, sul palco romano di Caracalla. Purtroppo, come sappiamo, il destino ha impedito al favoloso contastorie di Porto Empedocle, al più popolare scrittore italiano, di ripetere il grande successo di Conversazione su Tiresia, nel 2018 al Teatro Greco di Siracusa.

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LO SHOW
Il testo era pressoché pronto e si stava quasi per cominciare le prove sul palco, con la fedele assistente Valentina Alferj, il regista Stefano Vicario, le musiche di Roberto Fabbriciani; poi, a maggio, il progetto ha subito la prima interruzione, a causa di un incidente domestico e la rottura di un femore; quindi il successivo ricovero per un arresto cardio-circolatorio; infine la morte - sopraggiunta il 17 luglio, due giorni dopo la data dello spettacolo annullato - che ci ha lasciato, tutti, orfani e un po' più poveri. A lungo, negli ultimi mesi, lo storico editore Sellerio si è chiesto quale dei tanti inediti pubblicare per primo, per celebrare l'autore più celebre delle sue collane. C'era anche un libro sulla lingua, così centrale nelle opere di Camilleri, che non ha ancora un titolo definitivo, e che è stato a lungo rivisto e corretto; ma alla fine ha prevalso la scelta più naturale.

Colpisce che Camilleri abbia scelto la figura di Caino per uscire di scena; e che sia stata proprio un'opera teatrale a far calare, su di lui, il sipario. In fondo, non dobbiamo stupircene: il mondo è un palcoscenico, sosteneva uno degli autori che lo scrittore di Porto Empedocle amava maggiormente (citato anche in questo libro), il divino Shakespeare.
Il testo che Camilleri avrebbe voluto mettere in scena - ricostruito anche grazie alla nipote dello scrittore, Arianna Mortelliti, che aveva sostenuto il nonno nella rifinitura di questa edizione - rappresenta una lunga meditazione sul male, sulla natura umana e sulla possibilità di redenzione.
Il diavolo, sembra suggerire l'autore, non è necessariamente brutto come lo si dipinge. Il primo, vero errore di Caino è stato, secondo lo scrittore (che avrebbe anche dovuto impersonarlo sul palco), non aver mai voluto esporre le sue ragioni. Per questo è necessario giudicarlo una volte per tutte, assieme a un pubblico di spettatori che abbia anche il ruolo di giuria.

LO STILE
Ma non bisogna immaginarsi un processo torbido e inquisitorio. Lo stile dell'Autodifesa è quello che ha reso celebre l'autore: un eloquio sornione e accattivante, che gioca sulle debolezze di Caino (a cominciare da quelle sessuali), sul senso biblico di conoscere qualcuno. La voce di Camilleri (si sente davvero) è leggera, impalpabile, eppure anche arguta, profonda. La disputa sulle posizioni erotiche (chi sta sopra e chi sotto?) rendono Lilith una proto-femminista; ma è con Eva, come sappiamo, che il giardino dell'Eden diventa un ricordo; e Caino ci informa di essere stato concepito proprio «durante il Peccato Originale».

LE ATTENUANTI
Camilleri ci racconta l'assassinio con le attenuanti della legittima difesa; ma non per questo la colpa è più lieve, perché l'imputato ha sempre avuto la possibilità di scegliere; ed ha scelto di uccidere. L'autore invoca, come fece con Tiresia, tanti precedenti illustri. A un certo punto, interviene anche La storia di Caino e Abele, la versione comica della parabola biblica recitata da Dario Fo, la cui proiezione video era prevista nello spettacolo originale.
«L'Onnipotente che è contro/ di me parla nel vento del bosco di cedro, e in silenzio/ mi prosciuga», dice il protagonista attraverso i versi di Samuel Taylor Coleridge. Belli scrive in un sonetto: «Nun difenno Caino io, sor dottore,/ ché lo so ppiù dde voi chi ffu Ccaino: / dico pe ddì che cquarche vvorta er vino /pò accecà l'omo e sbarattajje er core».

L'ordine «nessuno tocchi Caino» proferito da Dio è in realtà una terribile punizione: «Vivere per l'eternità sulla terra è il male peggiore che possa capitare»; e per di più con un corno sinistro sul capo, che indica a tutti l'identità dell'omicida. In un giallo, sarebbe un autogol narrativo; sul palco è un colpo di teatro.
Caino comincia ad errare per il mondo, a raccogliere le prime comunità di umani, fonda città con un solo «imperativo assoluto», l'accoglienza. Arriva, in qualche modo, a conciliare «il disordine con la chiarezza».
Abbiamo tutti, come Caino, la possibilità di scegliere; e questo potere può rivelarsi la nostra fortuna o la nostra rovina; e la creazione artistica può compensare, in una vita, qualsiasi decisione nefasta, qualunque colpa da scontare. Lo stesso Caino non è altro che un male necessario. L'ultimo messaggio non poteva essere più semplice, in un mondo che non è, come avrebbe voluto Candido, il migliore dei mondi possibili. Per dirla con Montalbano: «È un gioco tinto, quello dei ricordi, nel quale finisci sempre col perdere».
 

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