Ar-Men: La leggenda del faro sull'oceano

Ar-Men: La leggenda del faro sull'oceano
di Nicolas Lozito
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Domenica 4 Agosto 2019, 12:14 - Ultimo aggiornamento: 12:57

Sembra una leggenda, un mito d'altri tempi raccontato per spaventare o affascinare i popoli di passaggio. Bastano poche frasi, o poche immagini per immergersi in un altro mondo e rimanere fermi a guardare e ad ascoltare. Siamo in Bretagna, affacciati all'Oceano, sulla Chaussée de Sein, un insieme di isole e scogli che si estendono per 13 miglia marine. A metà Ottocento, qui, il via vai di navi è tale da causare continui naufragi: le onde sono troppo alte, il fondale è troppo basso. È nella notte tra il 24 e il 25 settembre del 1859 che cambia tutto: la fregata imperiale Sané si va a distruggere sugli invisibili scogli, illuminati solo da due fari lontani che non bastano per far navigare in quel Triangolo delle Bermuda ante-litteram. Così il governo decide: si costruirà un nuovo faro, in mezzo al mare, sulla roccia più impervia, l'unica disponibile: Ar-Men, che in bretone significa niente più che la roccia: 105 metri quadrati e 4,2 di altezza, poco più sufficienti a superare una normale mareggiata. Una missione impossibile, per le difficoltà ingegneristiche, ma anche per le proteste della popolazione, che ha paura di perdere l'unica fonte di ricchezza, ovvero i naufragi, doni di morte che il mare restituisce a chi ha scelto di abitare in quei luoghi.

L'INFERNO DEGLI INFERNI
«È il faro più esposto e di più difficile accesso della Bretagna, ossia del mondo. Lo chiamano l'inferno degli inferni», scrive Emmanuel Lepage, celebre fumettista francese, nel suo Ar-Men - L'inferno degli inferni (Tunué, 96 pp, 23,5x31cm, 27). Il libro, maestoso nei disegni, perfetto nei testi, è un tributo a questa costruzione impervia, e a tutto ciò che è arrivato prima e dopo: i guardiani che ne custodiscono la luce, gli uomini lì intrappolati per giorni e giorni quando le maree non permettono il cambio turno, gli incubi e i fantasmi che ognuno di loro si porta in quel «regno» di solitudine, in quella «miniera», in quel «moncone di roccia» diventato «mostro marino». Per raccontare la storia vera di Ar-Men, Lepage si affida alla quotidianità, inventata ma documentata, di Germain, uno dei guardiani che arriva lì dopo la seconda guerra mondiale. Un uomo che vive di routine e di ricordi, e che nel faro ne trova altrettanti: perché una tempesta fa scrostare il muro e Germain scopre delle iscrizioni nell'intonaco, fatte da un precedente guardiano. Il presente si mescola con il passato, l'epica con il reportage. È proprio la fase di costruzione del faro la parte più interessante del libro, perché sembra la Macondo di García Márquez, ma è la Bretagna della Commissione fari francese tra Napoleone III e la Terza repubblica.

14 ANNI DI LAVORO
Nel 1865 il primo ingegnere incaricato del nuovo faro parte pessimista: «Non si può pensare di costruire, le dimensioni sono decisamente insufficienti». Gli isolani esultano, ma poi, per testardaggine e orgoglio, si ricredono, a patto che siano proprio loro a lavorare al progetto. Il primo anno di lavori, 1873, però è un fallimento: solo 9 ore passate realmente sulla roccia. Le onde sono troppo violente, la superficie impossibile da lavorare, il cemento non attacca. Gli ingegneri mandati dal governo si arrendono, e si susseguono l'uno con l'altro. Serviranno 14 anni di lavori per terminare il progetto: il 30 agosto 1881 il faro si illumina ufficialmente per la prima volta. I guardiani vegliano la luce per più di cento anni, e alcuni di essi rimarranno bloccati tra le mura cilindriche per più di 100 giorni consecutivi. Nel 1990 gli ultimi vengono prelevati con l'elicottero: da lì in poi il faro diventa automatizzato e a controllo remoto. La rivoluzione tecnologica e poi l'oblio.

SIMBOLO TOTEMICO
Ar-men con Lepage non è il primo faro a diventare il centro della narrazione, né sarà l'ultima. Da Robert Louis Stevenson, che prima di diventare scrittore era un ingegnere specializzato in fari tanto da seminarli nei suoi racconti, a Virgina Woolf, che nel 1927 con Gita al faro afferma il ruolo totemico, pieno di risvolti psicologici, di queste costruzioni. E poi tanti altri esempi, fino arrivare ai giorni nostri: un giallo di Camilla Lackberg (Il guardiano del faro, Marsilio), e il romantico La luce degli oceani di M.L. Stedman (Garzanti). Ar-Men supera il limite della parole e trasforma la storia in tavole bibliche: il paradosso del faro è che di giorno è solo una torre inutile in mezzo al mare e di notte solo un'illuminazione. Ar-Men è la più affascinante delle contraddizioni: paradiso e inferno, solitudine e umanità, sogno e fantasmi. Un punto di luce minuscolo per controllare l'immensità del mare.

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