«Ciao, sono Daria» e grazie a Facebook ritrova i suoi "Bambini di Chernobyl"

Amarcord, Michela con Daria (a sinistra) durante uno dei soggiorni a Terracina
di Giuseppe Baratta
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Sabato 21 Novembre 2020, 23:00

«Ciao, sono Daria ti ricordi di me?» Il messaggio nella casella di messenger, il sistema di messaggistica di Facebook per più di qualche giorno è sembrato strano perché arrivava da un profilo con il nome scritto in cirillico. Poi la curiosità, o forse il destino, ha spinto Michela a cliccare su quella bustina colorata di rosso per leggere e cercare di capire chi fosse il misterioso interlocutore. «Devo ammettere di aver pensato subito a un account fake, se ne sentono molte al giorno d’oggi, poi ho iniziato a capire, forse a sperare, e nella mia testa si sono riaccese come in uno scoppiettante domino al contrario tutti i ricordi - Michela fatica a trattenere le lacrime e intreccia con le dita il filo del telefono affiancata dal suo Roberto - Era proprio la mia Daria, la ragazza di Soligorsk, in Bielorussia, che ho ospitato oltre 15 anni fa insieme al suo fratellino Sasha, erano ragazzi che provenivano dai luoghi contaminati dal disastro nucleare di Chernobyl nel lontano 1986, venivano sul litorale pontino per trascorrere mesi in sicurezza e respirare il famoso iodio».

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La famiglia di Michela, a Borgo Hermada alle porte di Terracina, ha partecipato alla catena di solidarietà che ha permesso ai Bambini di Chernobyl di partecipare ai cosiddetti “soggiorni di risanamento”, cioè quei periodi di vacanza presso famiglie disposte a ospitare temporaneamente i minori provenienti dalle zone contaminate. «L’emozione è stata tanta quando abbiamo iniziato a dialogare, abbiamo fatto un po’ di fatica all’inizio perché Daria aveva dimenticato l’italiano e abbiamo usato il traduttore online, però è stato uno spasso e dopo la commozione le domande sono fioccate e il puzzle ha cominciato a ricomporsi - ricorda Michela - Da Soligorsk i ragazzi poi si sono trasferiti a Lvye.

Daria ora abita a 260 km dai suoi genitori e dal fratello Sasha che oggi fa il taglialegna nei boschi. Le cose sono cambiate moltissimi dal 2004 a oggi perché Daria è una super mamma a tempo pieno mentre suo marito lavora per una ditta come elettricista».


I soggiorni di risanamento per i “Bambini di Chernobyl” iniziarono negli anni Novanta e interessarono moltissime famiglie pontine. Le associazioni che si occupavano di questo tipo di iniziative permettevano ai ragazzi di frequentare le famiglie solo per tre anni, poi doveva esserci una rotazione. «Abbiamo trascorso estati indimenticabili, gli inizi sono stati complicati perché Daria e Sasha (foto sopra) erano spaventati e spesso chiedevano di telefonare alla famiglia in Bielorussia - ricorda Michela - con il passare delle settimane poi il legame cresceva e anche la confidenza fino a diventare parte della famiglia. Ricordo ancora quando loro ci facevano le mini lezioni di lingua russa, avevamo anche iniziato a parlare anche se la scrittura era impossibile. Loro parlavano italiano anche con gli altri ragazzi della zona, però poi ci siamo persi e quel messaggio su Facebook ha riaperto in me un periodo fantastico di gioia e solidarietà. Ci riabbracceremo dal vivo quando l’epidemia di Covid-19 finirà».
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