Coronavirus, il dirigente del pronto soccorso: «C'è paura, ma grande abnegazione»

Mario Mellacina, dirigente del pronto soccorso di Latina
di Giovanni Del Giaccio
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Venerdì 10 Aprile 2020, 08:00

«Più che essere definiti eroi, vorrei che non fossimo martiri e da dopodomani non ripartisse una denuncia al giorno». Mario Mellacina è il dirigente del pronto soccorso dell'ospedale "Santa Maria Goretti" di Latina. Il più grande della provincia, il punto di riferimento sul territorio prima dell'emergenza Covid e a maggior ragione adesso.
Cosa è cambiato?
«Tutto, come nel resto d'Italia e del Lazio. C'è un'altra qualità del lavoro, si trattano pazienti Covid e non, ma per questi ultimi gli accessi sono dimezzati e vediamo solo patologie serie. Nell'ultimo mese abbiamo ricoverato, compresi i positivi, la metà dei pazienti di marzo 2019. Vedevamo 160-170 persone al giorno, oggi sono 70-80 e tutti per urgenze»

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Meno accessi inappropriati, quindi, ma c'è qualcosa che balza agli occhi oltre questo?
«Credo che nessuno aspettasse il crollo, ad esempio, dei pazienti cardiovascolari. Sicuramente si cerca di venire meno in pronto soccorso, ma ci sono patologie per le quali era e resta indispensabile»
Quali?
«Parlo di patologie tempo dipendenti, quelle per le quali occorre fare in fretta: ictus, disturbo della  parola o del movimento, aritmie, disturbi cardiaci, dolori al petto e traumi importanti. Sono quelli che in pronto soccorso devono andarci sempre, per tutti gli altri è fondamentale l'indirizzo del medico di base. Non dico che prima i medici di famiglia indicassero ai pazienti il pronto soccorso, ma con questa situazione sono ancora di più un punto di riferimento».
Qual è stata la reazione del personale?
«Non ho mai lodato chi lavora con me in pronto soccorso, ma posso dire che tutti hanno reagito  bene, qui come nel resto dell'ospedale e della Asl. Certo c'è paura, dobbiamo chiamare le cose con il loro nome,  moltissima paura di fronte alla quale abnegazione e passione non sono mai venuti meno. Sappiamo quali sono le protezioni, ci sono protocolli rigidi, li applichiamo e andiamo avanti. Certo, un conto è avere la sala visita con 20 pazienti generici in attesa, un altro con 15-20 potenziali Covid».
E la gestione dei casi, come sta avvenendo?
«E' stato predisposto un piano di azione adeguato, siamo arrivati terzi dopo la Cina e la Lombardia, abbiamo avuto il tempo di organizzarci. L'azienda ha  costruito una  gestione territoriale corretta e riorganizzazato la rete ospedaliera, il Goretti è quasi esclusivamente dedicato al Covid, ma ci sono le strutture convenzionate a supporto e ha aiutato anche la riapertura delle malattie infettive a Gaeta. Ma c'è un dato più importante degli altri»
Qual è?
«Essere pronti ha consentito di affrontare bene l'epidemia, stare a casa ha consentito che non esplodesse - almeno per adesso - ma soprattutto una gestione corretta, a domicilio. Ormai quasi tutti i nuovi casi sono seguiti nella loro abitazione, con la collaborazione dei medici di base e un confronto continuo con gli specialisti».
L'ospedale trasformato, il pronto soccorso con meno accessi, cosa resterà?
«Cambierà la vita dei cittadini, non solo l'ospedale» 

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