Potere economico e forza militare: così è nata la mafia autoctona a Latina

Potere economico e forza militare: così è nata la mafia autoctona a Latina
di Vittorio Buongiorno
3 Minuti di Lettura
Martedì 8 Dicembre 2020, 14:10 - Ultimo aggiornamento: 17:10

«Può ritenersi che la cosiddetta guerra criminale pontina tragga origine dall'omicidio di Di Silvio Ferdinando, detto il Bello, avvenuto sul lungomare di latina il 9 luglio del 2003, mediante l'esplosione di un ordigno posto all'interno dell'autovettura a lui in uso». Il gip Rosalba Di Liso, nell'ordinanza di custodia cautelare ricostruisce «il percorso criminale degli indagati» partendo da quell'antefatto, uno spartiacque tra due epoche.


Ci sono voluti sette anni però, dal 2003 al 2010, perché la guerra esplodesse davvero perché «nonostante - scrive il gip citando la richiesta di misure cautelari - i familiari del defunto Di Silvio attribuissero la responsabilità dell'omicidio al gruppo criminale facente capo al pregiudicato Carlo Maricca, non si registrarono atti ritorsivi diretti contro quest'ultimo, seppur progettati dai congiunti, come le indagini del tempo rivelarono». Sono «vicende che hanno segnato la storia di Latina in un momento in cui vi era il tentativo di soppiantare le famiglie rom Ciarelli/Di Silvio che detenevano di fatto il controllo delle principali attività criminali sul territorio.

Infatti sebbene la famgilia Di Silvio si articoli su vari piani, tuttavia vi è un legame di sangue che unisce le varie articolazioni, legame che ha poi portato, nel momento di crisi della guerra criminale, a coalizzarsi unitamente ai Ciarelli».


La guerra criminale
Il conflitto tra i clan rom e i clan non rom esplode la mattina del 25 gennaio del 2010 quando «un uomo a bordo di un potente scooter attendeva in via Pantanaccio che Carmine Ciarelli uscisse dal bar dove si era recato a fare colazione e lo attingeva con sette colpi di pistola». Il killer voleva uccidere ma Ciarelli non muore.

E' gravissimo, ma vivo. Viene portato al Goretti. E «l'ospedale diveniva luogo di ricevimento per numerosi componenti delle famiglie rom - annota il gip - Ciarelli e Di Silvio». Passano poche ore e arriva la reazione. «la sera stessa - scrive il giudice - in risposta a tale attentato avveniva l'omicidio di Massimiliano Moro». Ventiquattro ore dopo viene ucciso Fabio Bonamano, «persona vicina a Moro». Per questo omicidio sono stati condannati Giuseppe Di Silvio detto Romolo (fratello di Ferdinando il bello) e Costantino Di Silvio detto Patatone.


Dal processo Caronte emerse «l'esistenza di una associazione per delinquere derivata dall'alleanza delle due famgilie rom, impegnate in una serie di azioni ritorsive trasversali nei confronti degli appartenenti alla comunità non rom, ovvero quella fetta della locale criminalità che aveva cercato di sostituire i predetti nelle attività delittuose sul territorio (principalmente usura ed estorsioni, detenzione di armi da sparo). Le due famiglie si sono rafforzate proprio grazie a questa alleanza come cristallizzato in una conversazione riportata nella sentenza di condanna emessa dal tribunale di Latina nel cosiddetto processo Caronte, dalla quale si comprende come i Ciarelli avessero il potere economico e i Di Silvio la forza militare».


Dopo gli omicidi c'erano stati una lunga serie di altri episodi violenti, altri tentati omicidi tra marzo e maggio 2010 «per punire in maniera esemplare» gli spari contro Carmine Ciarelli.
Vittorio Buongiorno
© RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA