L'agguato a Carmine Ciarelli, consumato alle 7,30 del 25 gennaio 2010, proprio nel quartier generale del clan, nella zona di Pantanaccio e a pochi metri dalla sua abitazione, doveva avere una risposta adeguata, immediata e spietata, con un unico obiettivo: riaffermare il potere criminale «a scapito di quelle forze contrarie che avevano deciso di minarlo con un atto così eclatante».
Così l'omicidio di Massimiliano Moro, avvenuto la stessa sera del 25 gennaio, tra le 21,30 e le 22, è solo una delle strategie di risposta del clan, la prima, ma rappresenta anche il nodo centrale che porta all'affermazione e al consolidamento dell'alleanza rom. Da una parte i clan familiari Ciarelli- Di Silvio, dall'altra il gruppo non rom capeggiato da Moro e Mario Nardone.
Salgono così a sei gli arresti per quell'esecuzione di oltre 10 anni fa, dopo quelli già eseguiti a febbraio scorso a carico di Andrea Pradissitto, Simone Grenga, Ferdinando Ciarelli detto Furt e Ferdinando Ciarelli detto Macù. Del commando fanno parte anche Antoniogiorgio Ciarelli e Ferdinando Di Silvio detto Pupetto, rispettivamente fratello di Carmine Ciarelli e figlio di Armando detto Lallà, entrambi con il ruolo di pali sotto il palazzo di Moro durante l'esecuzione.
A confermare la loro presenza sono le dichiarazioni rese negli ultimi mesi da un nuovo collaboratore di giustizia, Andrea Pradissitto, che dopo il quadro delle dinamiche criminali ricostruito da Renato Pugliese prima e da Agostino Riccardo poi, arrivano a chiudere il cerchio e a definire in maniera puntuale le posizioni di tutti i soggetti coinvolti, consentendo questa volta una rilettura dei fatti dall'interno, da parte cioè di chi aveva direttamente partecipato.
Proprio le dichiarazioni del nuovo pentito del clan hanno consentito alla Dda di Roma di riaprire le indagini e arrivare all'arresto di Pupetto e di Antoniogiorgio Ciarelli, insieme a quello di Ferdinando detto Macù che in precedenza era stato scarcerato per un vizio di forma e da ieri è destinatario di una nuova misura con le stesse accuse.
L'omicidio che scuote la città di Latina è dunque al centro di una faida in corso per il controllo delle attività criminali sul territorio e l'elemento che porterà a una serie di altri fatti di sangue che determinano il predominio dei clan familiari «caratterizzati scrive il gip Francesco Patrone - dalla capacità di porre in atto un potere di intimidazione tale da determinare il riconoscimento giudiziario, non ancora definitivo, della natura mafiosa di una parte del sodalizio che fa capo ad Armando Lallà Di Silvio».
Nelle pagine della nuova ordinanza si ricostruiscono le riunioni in cui viene pianificata la linea stragista, con l'organizzazione di atti violenti che indicano la capacità di spadroneggiare del sodalizio che hanno l'obiettivo di conquistare, pezzo dopo pezzo e omicidio dopo omicidio, il totale controllo del territorio.