Neanderthal, i resti di 9 uomini trovati al Circeo. Franceschini: «Straordinario»

Neanderthal, i resti di 9 uomini trovati al Circeo. Franceschini: «Straordinario»
di Monica Forlivesi
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Sabato 8 Maggio 2021, 10:26 - Ultimo aggiornamento: 10 Maggio, 12:19

Nel ventre del Circeo la storia più inedita riemerge dalla roccia. E' un racconto che s’intreccia alla suggestione del mito. Dalla preistoria passando per le tracce del poema omerico dell’Odissea, per le rotte dei Fenici e dei Greci, fino all’età imperiale. È l’altra faccia di San Felice Circeo, oltre la bellezza del promontorio. Quella più antica, che affonda le radici nelle prime civiltà della costa laziale, ed emerge a più di 80 anni dalla scoperta della Grotta Guattari a San Felice Circeo, un pugno di chilometri a sud di  Latina. A far emergere questo tesoro di storia e conoscenza una ricerca della Soprintendenza archeologica di Frosinone e Latina in collaborazione con l'Università di Tor Vergata ha portato alla scoperta di reperti fossili «attribuibili a nove individui di uomo di Neanderthal». L'annuncio è del ministro della Cultura Franceschini, che sottolinea: «Un ritrovamento eccezionale che arricchisce le ricerche sul tema». Il sindaco di San Felice Circeo, Giuseppe Schiboni, parla di un sito di rilievo a livello mondiale: «Da subito abbiamo sostenuto l'inizio della riapertura degli scavi - dice - Si sono svolti diversi incontri con la Soprintendenza e tutti i maggiori istituti di paleontologia d'Italia sono stati coinvolti in questa avventura. Questo è un sito unico per qualità e quantità del materiale ritrovato e abbiamo l'obbligo di essere un punto di riferimento. Questi reperti archeologici sono bene comune dell'umanità».

Lo scorso autunno sono ripartite le nuove indagini, a dare impulso alle ricerche sono i lavori necessari per la messa in sicurezza della grotta Guattari, che prende il nome dal proprietario del terreno su cui insiste il sito e dove nel febbraio del 1939 fu rinvenuto un primo cranio. Già allora, grazie agli studi del paleontologo Alberto Carlo Blanc, si era compresa la grandissima rilevanza dell'area ritenuta una delle più importanti del paleolitico medio europeo. Ad ottobre, in particolare nell'antegrotta, iniziano ad affiorare i nuovi interessantissimi reparti. Si apre un altro viaggio nella storia.

 

IL MISTERO DELL'APERTURA ALLA BASE DEL CRANIO

C'è un elemento sul quale si soffermano i ricercatori,  come sottolinea l'antropologo Mario Rubini, direttore del servizio di antropologia del Sabap Lazio e che definisce «uno dei tanti enigmi su cui stiamo lavorando e che ci auguriamo di risolvere». Ed è una grande apertura alla base del cranio, come se la mano di qualcuno fosse intervenuta per aprire quelle teste, magari per mangiarne il cervello. E' la particolarità che accomuna tutti i crani ritrovati all'interno della grotta.

Facciamo un passo indietro: al 1939, quando venne ritrovato il primo cranio, poggiato in terra al centro di quello che sembrava un cerchio di pietre, si era pensato ad un rito di cerebrofagia. Il paleontologo Alberto Carlo Blanc aveva parlato allora di "cannibalismo rituale". La realtà, spiega oggi Rubini, è che le possibilità da valutare sono diverse. «Dobbiamo considerare che nel nostro mestiere quello che ci troviamo sotto gli occhi è sempre il frutto dell'ultima mano intervenuta - spiega - Potrebbe quindi essere stato l'uomo ad aprire il foro occipitale e la iena a finire di sgranocchiarlo, oppure potrebbe essere stata la iena stessa ad aprirlo per assicurarsi un cibo dalle alte qualità nutrienti, oppure ancora potrebbe semplicemente trattarsi di una rottura dovuta al caso».

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Aspetti sui quali si sofferma il lavoro dei ricercatori che sottolineano: «L'unica cosa certa è che abbiamo un femore mangiato da una iena, che su quell'osso ha lasciato persino l'impronta dei denti. D'altra parte sappiamo che le iene amano rosicchiare le parti terminali delle ossa lunghe perché sono molto ricche di calcio e questo serve al loro metabolismo». Per i crani aperti, però, l'interrogativo rimane aperto.

«Un ambiente assolutamente unico», spiega Mario Rolfo, docente di archeologia preistorica dell'Università di Tor Vergata, perché un crollo, forse dovuto ad un terremoto, ne chiuse l'ingresso circa 60 mila anni fa.
Al suo interno, stratificata nel tempo, una straordinaria banca dati di elementi fossili, resti di vegetali, di umani e
anche di animali dei quali non si conosceva la presenza in queste zone, elementi che secondo i ricercatori permetteranno ora di ricostruire la storia di tutto il Circeo e della pianura pontina, luoghi che l'uomo di Neanderthal ha frequentato per un arco di tempo che va da 300mila ad almeno 50mila anni fa. E questo, sottolinea Francesco Di Mario, funzionario archeologo della soprintendenza e direttore dello scavo, «grazie anche alle tecnologie attuali, di cui gli studiosi di metà Novecento non potevano assolutamente disporre».

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LA NUOVA INDAGINE
La nuova indagine si è estesa in particolare ad un'area della grotta che non era stata toccata nemmeno dal lavoro di Blanc. Si tratta della zona detta «del laghetto», perché da ottobre ad aprile viene allagata dalla falda sottostante. Tra i nuovi individui ricostruiti dagli archeologi, nove in tutto che si aggiungono ai due già ricostruiti nel 1939, c'è una sola femmina. I resti risalgono comunque ad epoche diverse. In particolare 8 sono di ominidi vissuti tra i 50mila e i 68mila anni fa, mentre il più antico di loro avrebbe tra i 100mila e i 90mila anni.
Ad arricchire il quadro una moltitudine di resti animali, a partire dalle iene che sono state le ultime ad usare la grotta come tana dove trascinavano le carcasse delle loro prede. Un elenco incredibile e affascinante che va dall'uro, un grande bovino oggi estinto, al cervo nobile, dal rinoceronte al cervo gigante (Megaloceros), dall'orso delle caverne all'elefante e al cavallo selvatico. Le indagini coinvolgono studiosi di diversi enti di ricerca: Ingv, Cmr/Igag, Università di Pisa, Università di Roma La Sapienza. 

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SCAVI E INDAGINI

L'obiettivo, spiegano, è ricostruire il quadro paleoecologico della pianura Pontina tra i 125mila e i circa 50mila anni fa, quando quelli che sono sempre stati indicati come “cugini” dell'homo sapiens - misteriosamente estinti all'incirca nel 26.000 a.C. - frequentavano il territorio laziale. Scavi e indagini sono stati estesi anche all'esterno della grotta dove sono state individuate stratigrafie e paleosuperfici di frequentazione databili tra i 60mila e i 125mila anni fa che testimoniano i momenti di vita dell'uomo di Neanderthal, i luoghi dove stazionava e dove, accendendo il fuoco, si cibava delle proprie prede. Il ritrovamento di carbone e ossa animali combuste, spiegano i ricercatori, autorizza a ipotizzare la presenza di un focolare strutturato.

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«Una scoperta che permetterà di gettare una luce importante sulla storia del popolamento dell'Italia - fa notare Mario Rubini, direttore del servizio di antropologia della Sabap per le province di Frosinone e Latina - L'uomo di Neanderthal è una tappa fondamentale dell'evoluzione umana, rappresenta il vertice di una specie ed è la prima società umana di cui possiamo parlare». Tanti gli enigmi  da sciogliere, tanto il lavoro di approfondimento sul quale stanno lavorando gli studiosi: un passo fondamentale per ricostruire la storia del popolamento dell'Italia dal profondo passato ad oggi.

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