Latina, la mamma di Arianna, morta a 16 anni: «Voglio la verità sulla morte di mia figlia»

Latina, la mamma di Arianna, morta a 16 anni: «Voglio la verità sulla morte di mia figlia»
di Monica Forlivesi
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Domenica 2 Agosto 2015, 16:34 - Ultimo aggiornamento: 17:17
LATINA - Arianna e la sua storia non dobbiamo dimenticarle. Morire a 16 anni, uccisi dalla propria sofferenza non si può. Ma Arianna se ne è andata così, nove giorni fa, chiusa nel bagno di casa, a poca distanza dal suo corpo una siringa. La madre sottolinea: «Non parlate di overdose, non sappiamo ancora cosa sia successo, stiamo aspettando l'esito dell'autopsia». Non abbiamo il potere di cambiare le cose, non di quelle già accadute, ma abbiamo il dovere di fare un tentativo che guardi al futuro, a tutti quei giovani che devono affrontare il proprio dolore e scelgono una strada che li porta alla distruzione.



A 16 anni il senso di responsabilità ha altre maschere e viene scansato da altre priorità: la voglia di saltare le tappe, di sembrare più forti, di chiudere in una spirale di fumo la propria fragilità. La vita sembra una cosa scontata, invece va custodita. E' per questo che Arianna Briasco non la dobbiamo dimenticare. In un caldo pomeriggio di luglio la sua vita si è fermata sul pavimento di una casa in campagna. Non era abbandonata a se stessa, era con suo padre, per tenerla lontana dal centro di Latina, dalle tentazioni di chi non le dava tregua, le offriva facili vie di fuga dalla vita con i suoi mali. E lei era troppo sensibile, fragile, non riusciva a scappare. Arianna è un po' figlia, nipote, amica di tutti, di questa città e di questo tempo. «La sua morte non deve essere inutile», lo chiede la famiglia, lo chiedono i suoi amici che non si danno pace e scrivono ogni giorno sulla bacheca Facebook di “Ari Anna”.



«La morte di mia figlia era annunciata - le parole di Barbara Votta sono terribili - non siamo riusciti ad aiutarla, noi, le istituzioni, chi aveva il dovere di sostenerci». Racconta di un incontro che ha cambiato tutto tre anni fa, Arianna era una bambina di 13 anni, in centro a Latina ha conosciuto un ragazzo con qualche anno in più e un'altra vita, lontanissima dalla sua, è stata la porta di ingresso al mondo degli stupefacenti. E' iniziato il peregrinare nelle comunità, per stare lontano da Latina e da quell'infatuazione che la trascinava sempre più giù, ma che era più forte di lei: la fuga dalla Svizzera, dalla Toscana, un lungo elenco di medici, di visite, équipe universitarie, denunce alle forze dell'ordine. «Ho denunciato quattro volte quell'uomo - racconta - non è mai successo nulla, l'ho denunciato perché spacciava, per lesioni, per stalking, ma non sono mai riuscita ad allontanare mia figlia da lui».



Giovedì scorso, poche ore prima della fine di quella piccola vita, l'appuntamento con uno psichiatra che si occupa di tossicodipendenze, poi la ricerca di un posto nella comunità di don Mazzi e il ritorno a Latina. Sarebbe dovuto durare solo pochi giorni, l'attesa di trovare un posto nel centro. «Non ne abbiamo avuto il tempo», dice Barbara Votta che ora chiede a magistratura e polizia, di far luce sulla morte di sua figlia. «Voglio sapere cosa è successo - dice - non si iniettava droga, le siringhe erano spuntate solo da pochi giorni, ne siamo sicuri. Chi gliele ha date? Era una bambina, fragile, era la mia unica figlia e voglio che venga ricorda per quello che era, una ragazza sensibile e amata da tantissimi amici e dai suoi insegnanti. Guardi cosa le ha scritto la preside del Majorana...».



La lettera inizia così: “Non è semplice trovare le parole per raccontare di te: come una meteora sei entrate nella nostra vita, nella nostra scuola e sarà impossibile smarrirti nell'oblio”. Non smarriamo la vita di Arianna, quello che la famiglia, i medici, la scuola e le istituzioni non sono riusciti a fare per aiutarla, si deve trasformare in impegno, per aiutare i tanti giovani in cerca di una mano. «Vivrò per questo - dice la mamma - Ho bisogno di tempo, ora è presto, ma vorrei fare qualcosa per i ragazzi che ancora possono salvarsi e per le loro famiglie. Perché trovino quello che non ho trovato io: aiuto». Passano i giorni, e gli amici più cari di ”Ari Anna” lasciano sulla sua bacheca una foto, un ricordo, un “buongiorno angelo mio”. Come fosse un fiore.
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