Lallà Di Silvio al processo: «Sono un povero zingaro straccione»

Lallà Di Silvio al processo: «Sono un povero zingaro straccione»
di Elena Ganelli
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Martedì 3 Novembre 2020, 08:44

«Non sono un criminale e neppure un narcotrafficante ma un povero zingaro straccione. La mia famiglia è una banda di straccioni che fa la fame vera, non siamo come ci hanno descritto i pentiti, quei malfattori». Nell'udienza del processo Alba Pontina di ieri mattina la scena è tutta per Armando Di Silvio, capo del gruppo criminale di Campo Boario e principale imputato nell'inchiesta della Squadra mobile della Questura di Latina, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Roma, che il 12 giugno 2018 ha portato all'arresto di 25 persone, appartenenti o riconducibili al gruppo rom, accusate a vario titolo di associazione a delinquere di stampo mafioso, spaccio, estorsioni, favoreggiamento, violenza privata, riciclaggio, corruzione elettorale, intestazione fittizia di beni. Lallà, maglione grigio chiaro e mascherina, è in collegamento da una sala del carcere sardo dove è detenuto e per quasi tre ore di fila risponde alle domande prima del pubblico ministero Claudio De Lazzaro poi a quelle degli avvocati Palmieri e Giudetti per scrollarsi di dosso tutte le accuse, quelle di essere alla guida di un gruppo criminale. Nega tutto e racconta un'altra storia, quella di una famiglia di poveracci. Nega di conoscere personaggi finiti con lui nell'inchiesta e persone vittime di quel sistema disconoscendo tutti i racconti e le dichiarazioni resi da Agostino Riccardo e Renato Pugliese, i due ex componenti del gruppo diventati poi collaboratori di giustizia, che hanno aiutato gli investigatori a ricostruire il sistema Di Silvio. «Erano amici dei miei figli, venivano a casa e mangiavano con noi e ci hanno accusato senza motivo, due bugiardi e malfattori. Riccardo era un drogato e malato di gioco, una volta gli ho anche dato due schiaffi e gli ho detto di lasciare stare la mia famiglia. Era pericoloso e sapevo anche che era molto amico di un ispettore di polizia». Lallà ha detto di avere venduto droga solo a qualche amico e di non avere mai fatto estorsioni così come ha negato di essersi occupato di politica. «Non ci capisco niente di politica e non conosco nessun politico e alla mia età non mi metto ad attaccare cartelloni elettorali». Il pubblico ministero cita intercettazioni telefoniche per contestare reati ma lui nega ancora. «La Mercedes non era mia spiega quando De Lazzaro gli contesta il sequestro di tre auto di grossa cilindrata ce l'avevo per venderla, ho sempre fatto compravendita di auto in nero come la compravendita di bestiame e cavalli ma non siamo ricchi». Sull'estorsione al ristoratore Davide Malfetta, che dice di non conoscere, racconta di avergli dato dei soldi come risarcimento per salvare la posizione dei suoi figli. «Ho pagato per difendere mio figlio, aveva appena 18 anni». Anche sull'estorsione all'avvocato La Salvia dice di avere appreso la notizia dal racconto dei pentiti e sottolinea di non essere mai andato a Sonnino a pranzo con l'imprenditore Luciano Iannotta, arrestato pochi mesi fa nell'ambito di Dirty Glass così come respinge l'accusa di avere avuto rapporti con esponenti di organizzazioni mafiose. «Mi ritrovo in carcere in Sardegna tra gente che ha fatto reati, non ce la faccio più e non so che fine faccio in questa galera».L'avvocato Angelo Palmieri ha chiesto di effettuare in aula un confronto in videoconferenza tra Armando Di Silvio, Renato Pugliese e Agostino Riccardo e ha chiesto anche di ascoltare Iannotta, richieste sulle quali il Tribunale, presieduto da Gianluca Soana, si è riservato di decidere. Si torna in aula il 24 novembre.
Elena Ganelli
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